Viaggio nella sapienza delle donne

30
Ago

Un successo la mostra di Chiara Peruffo

Dal 19 al 28 maggio Presenza Donna ha ospitato la mostra “Viaggio nella sapienza delle donne”, che raccoglie una trentina di illustrazioni realizzate da Chiara Peruffo in questi anni per le copertine di questa rivista. Colori, linee, figure, interpretazioni del mondo che aprono orizzonti di significati complessi. Bagagli di sapienza delle donne, fiori del giardino che germoglia nuovo. Immagini in cui si intrecciano l’illustrazione e la riflessione sui testi, a partire dal grande codice delle Scritture.

La prima mostra di Chiara Peruffo è stata fortemente voluta dall’associazione Presenza Donna e dalla Congregazione delle Suore Orsoline scm, che da tempo si avvalgono della preziosa collaborazione dell’illustratrice vicentina. Le opere esposte sono state realizzate con tecniche diverse (la prevalenza va all’acquerello) e coprendo una ricca pluralità di temi e sfumature capaci in vario modo di incrociare il tema della “sapienza delle donne”. La mostra è costruita come un viaggio in sei tappe e nuclei tematici: Parola e parole; Tra tempo e spazio; Tessiture di storie; Laudato si’; Popoli “in-differenti”; Presenza Donna. Tantissimi i visitatori della mostra, tutti colpiti da stile, profondità, eleganza, delicatezza di queste opere, e ammirati di fronte alla loro potente bellezza e capacità di comunicare la sapienza delle donne.

Insieme a qualche foto della mostra, vogliamo riproporvi qualche passaggio dell’intervista a Chiara Peruffo realizzata da Annalisa Lombardo in occasione dell’iniziativa “DegustArte”, che lo scorso marzo ha lanciato la mostra.

 

Come nasce l’idea che esprimi in ogni dipinto?

Quando mi viene dato un tema per prima cosa esploro il suo universo semantico: vado per etimologie, assonanze, somiglianze, sinonimi delle parole che mi vengono consegnate… Cerco dei testi biblici inerenti e quindi arricchisco quelle parole di altri significati e metafore. Alla fine da tutto questo enorme serbatoio di parole emergono spontaneamente delle immagini che io prima non avevo assolutamente ipotizzato, vengono fuori dai testi. Per questo dico che la mia non è pittura ma illustrazione: ho bisogno di un testo da cui partire.

 

Quando hai cominciato a sentire questa vocazione di esprimerti attraverso il disegno? E quale tecnica preferisci?

Come tutti i bambini ho disegnato fin da piccola. Alle elementari ho avuto la fortuna di frequentare un corso di disegno in cui non mi hanno insegnato granché, ma era un appuntamento in cui avevo due ore per disegnare, un sacco di fogli e libri, e soprattutto ero incoraggiata: credo che a ciascuno di noi per sentirsi artista servano questi pochi ingredienti iniziali. A volte non siamo incoraggiati a sufficienza, ma ognuno dovrebbe sviluppare la sua parte espressiva: magari per uno si esprime nel disegno, per un altro nella poesia, o nello scrivere un diario, o nel cantare in un coro, sono tutte forme di espressione. Rispetto alle tecniche, l’unica costante è forse quella di usare colori e materiali poco costosi, quindi tendenzialmente io dipingo sassi, legni che trovo in spiaggia modellati dal mare oppure tavolette degli scaffali di legno che la biblioteca ha buttato via. Questi sono principalmente i miei materiali. Poi, grazie a un corso con Marina Marcolin, ho scoperto la meraviglia e la dannazione dell’acquerello, perché a differenza delle pitture coprenti è una pittura che si affida all’acqua, molto poco controllabile (e non è nel mio stile essere poco controllati). L’acquerello ti apre a delle trasparenze e a una lievità che altre tecniche non hanno.

 

Che rapporto hai con chi commissiona e con chi poi ammira le tue opere?

Per quanto riguarda il pubblico, io penso che quando qualcuno scrive o disegna qualcosa, dal momento in cui l’ha fatto non è più suo: non sa dove va, non sa chi lo vede, per cui per me il problema del pubblico non si pone più di tanto. Ognuno ci metterà dentro quello che vuole, che probabilmente non c’entra niente con quello che avevo pensato io inizialmente, non mi riguarda: credo che ogni cosa che esce da noi fa la sua strada e non ci appartiene più. Mi è invece nota la committenza, che ha al centro uno sguardo femminile sulla realtà, sulla chiesa, sulla teologia, uno sguardo che mi appartiene e che mi interessa, perché io parto dal mio essere donna, dal mio essere femminista, dal mio faticosamente essere credente. Loro parlano di altre donne, e io parlo ad altre donne usando questo mezzo.

Enrico Zarpellon

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