Vivere con amore il proprio quotidiano

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L’esperienza di suore anziane o ammalate che vivono una misura alta della missione

Le primavere viste sono tante eppure gli occhi brillano ancora quando si parla di amore, quell’amore che cambia nel tempo e diventa sempre più forte perché radicato nell’Amore, quello con la A maiuscola!  Raccogliamo qualche spunto grazie al contributo delle sorelle di casa madre, su come sia possibile vivere la diakonía anche quando il corpo fa fatica a correre, perché rallentato dall’età o dalla malattia; ci facciamo aiutare nel nostro percorso da qualche domanda.

Un amore che non corre più che caratteristiche ha?

Con un sorriso, una tra le più anziane, quasi timidamente, mi risponde che per amare non serve correre! Un’altra aggiunge: “nella mia vita ho sempre dato il primo posto all’amore, in qualsiasi servizio che ho fatto, e ancora oggi continuo ad amare ogni persona che incontro, a cominciare dalle consorelle”. Il tono poi cambia, perché ci confida che in questi ultimi anni si ritrova a vivere una sofferenza continua e il dolore che prova nel suo corpo a volte è davvero grande, ma con sincerità afferma: “ho scelto di accettarlo e di offrirlo al Signore perché trasformi la mia sofferenza in preghiera”. È già da un po’, infatti, che non corre più e sente di avere bisogno di tanta forza per andare avanti nelle sue giornate. Questa forza sicuramente viene dal Signore, ma “anche da chi mi aiuta nelle cose di tutti i giorni e mi cura dimostrandomi affetto”.

È in questa chiave che possiamo cogliere l’importanza del “lasciarsi amare”, una dinamica che tutti conosciamo ma che, dicono a più voci, si può capire meglio solo quando non si è più autosufficienti, quando ci viene chiesto di abbandonarci alla cura di altri. Qui, l’intimità e il pudore giocano un ruolo importante e non è facile accettare di dipendere per ogni cosa, ma “se nell’altra persona vedo il riflesso del volto di Cristo che si china davanti a me come ha fatto quando ha lavato i piedi dei suoi discepoli (Gv 13), allora ogni gesto diventa una carezza carica di amore”.

A proposito di questo una sorella afferma con semplicità: “il sorriso è una delle poche cose che mi sono rimaste per far capire agli altri che gli voglio bene”. Suggerisce poi che anche se non si può mai banalizzare il dolore, un sano umorismo può essere un buon rimedio per non chiudersi in se stesse e accettare che anche il male fisico fa parte della vita. Poi aggiunge: “per me, insieme alla preghiera, «tenere allegra la brigata», come diceva Madre Giovanna, è uno dei modi per procurarmi quell’olio necessario perché quando il Signore verrà mi trovi con la lampada accesa”.

Ci rivolgiamo ora, in particolare, a chi sta facendo esperienza di una corsa frenata da una malattia e chiediamo: cosa è cambiato nella tua vita?

Con un po’ di commozione qualcuna confida: “scoprire di essere ammalate sicuramente sconvolge. Perché nessuno, umanamente parlando, può accettare senza provare resistenza una malattia difficilmente curabile che ti cambia la vita limitandoti in tante cose”. E come fare se avevi già il biglietto per tornare in Brasile? E se il tuo cuore sogna ancora di tornare in Africa? E se senti nostalgia per i giochi che facevi con i bimbi?

La risposta è detta con un soffio di voce: “Come fare? L’unica cosa è abbandonarti a Dio”. “Ho sperimentato per la prima volta che l’amore nutre la vita anche nella malattia. Nella mia lotta contro il tumore sto capendo pian piano che malattia e felicità possono convivere, grazie all’esperienza dell’amore di Dio, all’amicizia e all’amore di chi mi sta accanto”.

Continua un’altra: “la mia preghiera è cambiata tra un prima e un dopo: la malattia mi ha plasmata. Mi sento come argilla nelle mani del vasaio: Dio non ha buttato via il vaso che si è guastato, ma ha rimodellato in me la stessa creta (Ger 18,4)”.

In questo abbandono è caldo l’abbraccio misericordioso di Dio padre e madre, tanto che si è a propria volta incoraggiate ad abbracciare ogni persona, ad abbracciare se stesse, ad abbracciare tutto il mondo, come direbbe madre Giovanna. “Imparare ad abbracciare chi si prende cura di te e chi con te condivide il quotidiano è un modo per non sentirmi più sola e per dare la possibilità alla mia malattia di diventare un cammino di umanizzazione, un cammino in cui crescere nell’amore”.

Come possiamo, allora, crescere sempre più nella diakonía?

Qui la risposta è unanime: quello che puoi fare quando non puoi più correre è dedicare il tuo tempo alla preghiera. Afferma una sorella anziana: “adesso che non sono più in attività ho tanto tempo, e la preghiera occupa la gran parte della mia giornata. Qui in Casa madre abbiamo l’adorazione del Santissimo ogni giorno e questo è un impegno, ma anche una grande opportunità per coltivare una preghiera più contemplativa. Anche avere la tomba della fondatrice in cappella non è indifferente: si percepisce il valore della sua presenza”.

Pregare è quindi la nuova missione: fa entrare nella relazione con Dio, accogliere la verità di se stessi e aprirsi all’altro con amore. Pertanto, andare in cappella, quando la salute lo permette, diventa l’appuntamento più importante della giornata, l’impegno che diventa servizio, eco delle parole di Madre Giovanna: “un po’ alla volta la preghiera andava innaffiando l’anima mia e cominciavo a sentire devozione ed amore speciale verso Gesù Sacramentato”. Un’altra sorella ci racconta: “ci sono tanti «no» che sono entrati nella mia vita, ed è facile scoraggiarsi; ma c’è uno stare nella situazione in cui ti trovi, soprattutto nella malattia, che è reso possibile perché sei animata e vivificata da quella fiamma che arde dentro di te e ti rende viva”. Quindi, sia che siamo malate a letto, curve su un girello o in piena salute, sempre siamo chiamate a vivere l’esortazione di Gesù “rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Cosa significa vivere la “mistica del quotidiano”? La mistica del quotidiano, ci spiegano, è riuscire a intrecciare insieme preghiera e vita, come ha fatto Madre Giovanna, in modo che tu possa testimoniare di voler amare come Lui ci ama mediante le varie occasioni di pazienza, accoglienza e imprevedibilità della tua giornata.

Un’altra sorella aggiunge: “anche l’accettazione della malattia è mistica del quotidiano perché la nostalgia del «fare» è sempre forte: senti il tuo spirito vivace, ma il tuo corpo è cambiato e non puoi più arrivare a fare quello che facevi. Per superare questo scarto l’unico modo è affidarti continuamente al Signore”.

C’è dunque un servizio che va oltre la capacità fisica di correre: è la diakonía che si concretizza nel vivere con amore il proprio quotidiano. Questo è il cuore e il punto più alto dell’amore, mistero capace di far diventare il proprio tempo, anche quello della malattia, uno kairós, perché illuminato dal mistero di Cristo.

sr. Elisa Panato

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