V domenica di Pasqua

10
Mag
(At 6,1-7   Sal 32   1Pt 2,4-9   Gv 14,1-12)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Diventare cristiani vuol dire mettersi in cammino. Nel Vangelo di oggi Gesù, preparando i suoi al momento in cui non potranno più vederlo e parlarci così come sono abituati a fare, indugia sul cammino che essi (e noi) devono compiere. Anzitutto promette la meta: vado a prepararvi un posto. Siamo rimasti soli, il Signore se ne è andato, ma non si è allontanato, anzi è là dove dobbiamo andare a preparare il posto per noi, quindi tornerà a prenderci, anche se ci dice che già conosciamo la strada da fare per raggiungerlo. Alla domanda di Tommaso (che forse possiamo fare nostra) su come facciamo a conoscere la via se non sappiamo nemmeno dove va, Gesù risponde svelandoci che il luogo nel quale ci prepara un posto è il Padre (il grembo del Padre da cui lui è venuto è il luogo di vita in cui tutto è chiamato ad entrare) e che la via è lui, perché vivendo in lui (rimanendo in lui) siamo già una cosa sola col Padre e possiamo fin d’ora compiere le sue opere, cioè dare la vita al mondo.

A questo punto la seconda lettura, tratta ancora dalla prima lettera di Pietro, ci aiuta a comprendere come “rimanere” in Cristo e come compiere le opere del Padre tramite l’immagine dell’edificio. Cristo, la sua parola, la sua vita, il suo stile, è la pietra angolare alla quale lo Spirito, se lo assecondiamo, ci stringe, costruendoci insieme come pietre vive, stretti gli uni agli altri e fondati su di lui fino ad essere appunto un edificio “spirituale” (dello Spirito cioè). Questa è la chiesa: i credenti cementati dallo Spirito ed edificati sul Signore risorto e il suo Vangelo. Perché, però, la chiesa possa essere l’edificio spirituale che offre se stesso (sacerdozio regale) per umanizzare il mondo (nazione santa) annunciando il Vangelo con la vita e le parole (e compiere così le opere del Padre), occorre che essa custodisca l’unità.
E quindi di fronte agli inevitabili problemi che fanno sorgere conflitti (come vediamo raccontato nella prima lettura tratta dal libro degli Atti) essa, proprio per custodire l’unità che ha ricevuto, deve confrontarsi, cercare soluzioni condivise, decidere insieme, cambiare o ideare ciò che serve a vivere (questa prima chiesa istituisce un ministero nuovo, il collegio dei sette, semplicemente perché serviva alla vita dei credenti).
Questa unità concreta e reale, fatta di vita, di scontri, di incomprensioni, di sincerità, di amore reciproco e ricerca del bene, di condivisione di scelte e responsabilità, rende la chiesa capace di moltiplicarsi perché ciò che annuncia appare immediatamente evidente nella vita di coloro che testimoniano il Vangelo: solo Dio può raccogliere in unità uomini e donne tanto diversi, che pur fra mille difficoltà desiderano essere un corpo solo, responsabilmente e attivamente, per porsi a servizio del mondo anche quando questo li respingesse. Chi vede questo non può non riconoscere come vero ciò che viene annunciato. Si compie così la parola del Signore che chiude il Vangelo di questa domenica: “Chi crede in me, anche egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi”.
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