MASCHERINE “ORSOLINE” PER I MALATI E I POVERI DI BEIRA

27
Mag

Realizzate nel nostro laboratorio di cucito “Maos Unidas” , nato 15 anni fa per aiutare le donne malate di Aids a imparare un lavoro

 “Le formiche dissero: mettiamoci insieme e riusciremo a spostare un elefante” . La frase è un paradosso ma sintetizza bene la sfida che una quindicina di anni fa la comunità delle suore orsoline scm di Beira ha affrontato, costituendo il laboratorio di cucito “Maos Unidas”. Oggi quel paradosso è diventato lo slogan del laboratorio e lo trovi stampato, accanto al cerchio di mani unite che fa da marchio all’iniziativa,  sulle magliette di cotone in vendita a Beira insieme a borse, tracolle, zainetti, coprilibri, per raccogliere fondi per aiutare le donne in difficoltà e autofinanziare il laboratorio stesso.

Questa volta “l’elefante”, a fine inverno 2020, si è presentato in Mozambico sotto l’aspetto del covid 19, il virus che ha appestato il mondo occidentale e che, ancora mentre scriviamo, fa tutti i suoi sforzi per entrare da padrone anche in Africa, dove strutture sanitarie e dispositivi medici non sarebbero in grado di fronteggiarlo. Nei campi degli sfollati a Beira, seconda città del Mozambico colpita un anno fa dal terribile ciclone Idai, vivono ancora decine di migliaia di persone e all’ingresso di ogni campo, per difendersi dal contagio, ci sono solo un secchio d’acqua e un pezzo di  sapone per sanificare le mani, e niente mascherine.

Così le “formiche” del laboratorio “Maos Unidas” hanno pensato che a “spostare l’elefante” ci si poteva almeno provare e si sono messe al lavoro per produrre le introvabili e indispensabili mascherine.

A coordinare lo sforzo, la presenza gioiosa e ottimista di suor Margherita, divenuta responsabile del laboratorio dopo gli anni della sua nascita legati alla intuizione di suor Dominique e al suo impegno coraggioso condiviso con suor Giannantonia.

Sì, perché nel 2006, in pieno boom dell’Hiv nei paesi africani, a  immaginare di dare una mano alle donne malate di Aids insegnando loro un lavoro, ci voleva coraggio in ogni senso. Coraggio che resta comunque anche oggi la cifra di questo impegno se si pensa che ancora in Mozambico, su 30 milioni di abitanti, sono circa un milione le donne affette dall’Hiv, e 200.000 sono i bimbi cui loro lo hanno trasmesso alla nascita.

E molte di queste donne sono sole, vedove di morti di Aids, o semplicemente abbandonate, perché deboli e malate: e quindi tutte con la necessità di mantenersi per vivere e sopravvivere.

L’idea del laboratorio di cucito delle Orsoline di Beira nasce così:  se sai tagliare, usare ago e filo, e far andare una macchina da cucire di prima generazione,quelle cui basta un pedale per  funzionare, un mestiere ce lo hai, fai  la sarta e la rammendatrice, e puoi farlo nella baracca dove abiti, mentre dai uno sguardo ai bambini e un occhio a quel che cucini sul fuoco. Così le prime donne iniziano a frequentare il laboratorio. Arrivano nella primissime ore del mattino nel grande stanzone al fianco della abitazione delle suore, e ripartono oltre la metà della giornata. Suor Margherita disegna e taglia, le donne raccolte intorno ai tavoli imbastiscono o curano le finiture, e le allieve più avanti nel corso sono concentrate alla macchina da cucire: alcune sono vecchie e resistentissime macchine tedesche, come quelle che c’erano 50 anni fa in ognuna delle nostre case, altre sono repliche cinesi di marca Sin-Jer (provate a leggere tutto insieme con una G al posto della J…e capirete cosa imitano!).

Tutte le donne che frequentano il laboratorio hanno non solo la voglia di imparare un mestiere, ma anche un incentivo a completare il corso: da qualche anno a chi termina con successo la frequenza viene donata proprio una macchina da cucire, grazie alla generosità di amici e benefattori, alla cui porta suor Margherita bussa per far quadrare i conti.

L’operazione “mascherine” invece è stata per decisione comune tutta su base volontaria e così in poche settimane e gratuitamente 500 mascherine sono state destinate all’ospedale di Beira e quasi altrettante agli abitanti di uno dei bairro più poveri della città, quello di Nhamudima. Alla consegna e alla distribuzione erano presenti il sindaco di Beira, a riconoscimento del valore del gesto di queste donne malate e emarginate che hanno saputo pensare agli altri, e rappresentanti della rettoria di UCM, la università cattolica del Mozambico, che ha sostenuto le spese vive dell’iniziativa.

A Beira, l’elefante del paradosso, grazie alle mascherine “orsoline”,  è stato spostato di certo un po’ più in là,  grazie a Paulina, Fernanda, Gloria, Fina, Delfina e alle tante “formiche” coraggiose e generose che insieme alle nostre suore, si sono rimboccate le maniche e hanno pensato agli altri.

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