Luci e appelli del sinodo e dell’Amazzonia

17
Mar

La testimonianza e la riflessione di un presbitero brasiliano di Roraima a proposito della conversione culturale

Uscire, andare incontro all’altro/a, farsi prossimo, aprirsi alle relazioni, creare amicizia, trasformarsi attraverso il dialogo, accogliere il dono della vita fraterna; diventare un fratello, essere comunità, orientarsi alla comunione: qui nasce e da qui parte quello che i padri sinodali hanno chiamato “conversione” e papa Francesco “sogno culturale”. Più che amico/a, siamo fratelli/sorelle gli uni con gli altri.

Il mandato del Signore risorto: “Andate a tutti i popoli e fateli miei discepoli” (Mt 28,19), è più che un movimento di uscita, è un andare per incontrare. Possiamo dire che è uno dei “primi lavori” dello Spirito Santo nell’uomo/donna che desidera seguire Gesù di Nazareth. La primizia battesimale è “essere parte di un Altro”, dove “l’Io” è determinato da un “Noi”. L’uscire per andare incontro all’altro ha solo uno scopo alla scuola di Gesù: essere fratello/sorella, lasciandoci trasformare dall’altro/altra, dalla sua cultura, dai suoi modi di essere.

Come fratello, sono generato e genero alla vita fraterna, divento comunità destinata alla comunione: questo è il lasciarsi plasmare della nostra vocazione e missione al seguito di Gesù. Così i cristiani vivono naturalmente il proprio essere controcorrente di fronte all’individualismo, ai ghetti, ai nazionalismi, ai sistemi chiusi… La nostra vita è totalmente radicata nella verità che siamo “uno” in Cristo e siamo “tutti fratelli e sorelle gli uni/altri” (Gv 17,24). La vita fraterna è un dono trinitario e pasquale, lì trova il suo modello, la sua origine e il suo fine: nella comunione di Dio. E noi lo accogliamo come una vocazione, come un dono gratuito che ci è offerto, una missione da compiere, un destino che ci modella (Ef 4,1-3).

Andare, ascoltare, imparare, essere plasmato da un Altro, dagli altri/e e dal creato è la traiettoria, il processo e il cammino del mistero che Gesù e i cristiani chiamano “conversione”. L’essere fratello/sorella è parte integrante, costitutiva del nostro essere umani, la nostra intera vita tende a questa realtà. Pertanto, uscire per andare dagli altri/e, ricevere e lasciarci trasformare da loro, non è un’opzione o una scelta dell’umano, meno ancora nella scuola di Gesù, perché lì diventa dono, missione, orizzonte e destino.

Nel processo di ascolto, tavole rotonde, assemblee territoriali, del percorso sinodale bello e entusiasmante qui in Amazzonia, questo non solo è emerso, ma siamo stati quasi invasi da questa verità: “siamo tutti fratelli e sorelle, perché tutto è interconnesso (interligado), come se fossimo una cosa sola, tutto è interconnesso in questa casa comune”. Svegliarsi con questa consapevolezza ci ha proposto un percorso pedagogico, educativo, un rilanciare le reti, perché solo in questa verità, in questo cammino di vita, il mondo si rinnova. La speranza che incontriamo in Apocalisse, “ecco, faccio nuove tutte le cose”, ci rilancia in un quotidiano che diventa cammino di speranza/utopia. Andare verso l’altro trasforma il tuo mondo e il mondo intero. Con questo bagaglio concreto, spirituale ed esistenziale noi padri sinodali, donne, popolazioni indigene, laici/che, siamo arrivati a Roma lo scorso ottobre, per vivere la fase celebrativa del sinodo insieme al vescovo di Roma. Lui ci aveva invitato a condividere con tutta la Chiesa le gioie e i dolori, i sogni e le speranze dei popoli, delle foreste, dei fiumi, degli animali… insomma della grande Amazzonia.

Nell’ascolto e nel coraggio dato dallo Spirito Santo, l’assemblea sinodale con oltre 150 voti ha sentito e proposto a tutte le comunità ecclesiali dell’Amazzonia, e esteso a tutta la Chiesa, la necessità di aprirsi e dare inizio a “nuovi cammini di conversione culturale”. Il 2 febbraio scorso papa Francesco ha rilanciato questa esigenza come sogno, che l’Amazzonia stessa ha ispirato: “Sogno un’Amazzonia che preserva la ricchezza culturale che la caratterizza e nella quale brilla, in modo multiforme, la bellezza umana” (QA 7).

Ascoltare, accogliere e voler partecipare del sogno culturale che papa Francesco ha per l’Amazzonia, non è altro che accettare il mandato del Signore risorto: “Andate a tutti i popoli’”. Andare dagli altri e altre, essere prossimo e fratello, è già sperimentare il comandamento dell’amore, la tenerezza della misericordia, l’apertura e la libertà che la gratuità genera in ogni uomo e donna e in tutta l’umanità.

Quindi, vi invito a lasciarvi illuminare e sedurre dagli appelli che provengono dall’Amazzonia e dal sinodo in questo sogno e cammino di conversione.

Il sinodo speciale per l’Amazzonia ha le proprie radici nella stessa Amazzonia, molti anni fa, quando i vescovi, dopo il concilio Vaticano II, incontrandosi nella città di Santarém nel 1972, decisero di provare a camminare insieme, nonostante le distanze geografiche e pastorali che ogni prelazia viveva in quegli anni. In quell’occasione hanno lanciato ciò che il papa ora raccoglie nella sua amichevole lettera Querida Amazonia come frutti da coltivare e direi ripiantati, poiché i semi non sono solo piantati in alcune chiese dell’Amazzonia, ma possono essere offerti alla Chiesa cattolica diffusa in tutto il mondo.

I vescovi di quel tempo hanno avviato due cammini: l’evangelizzazione liberatrice, cioè una modalità di evangelizzare che arrivi a tutte le persone e alla loro integralità; e il farsi molto più prossimi ai “mondi” amazzonici, un incarnarsi nella loro realtà. Emerse un nuovo modo di essere Chiesa, un “camminare insieme” (sinodo). Così, si decise di convocare le assemblee pastorali, non solo di sacerdoti, religiose… ma chiamando anche, in altre parole, la gente, noi (catechisti, leader, indigeni, migranti, agricoltori…), quelli che partecipano e incoraggiano le piccole comunità, a riunirsi “negli incontri pastorali” e, illuminati da Gesù Buon Pastore, potessero incontrare vie nuove, modalità di evangelizzazione.

Nel processo di incontri, riunioni, assemblee è stato usato il metodo del vedere, giudicare e agire, come metodologia/cammino pastorale. Il testo dell’Esodo “Ho udito le grida del mio popolo e sono uscito”, ascoltato, letto e cantato, è entrato nei cuori, nelle menti e negli stili di vita degli agenti pastorali e delle intere comunità. La coscienza della Chiesa, quel popolo di Dio che viene dal concilio, si diffuse. I canti Anch’io sono il tuo popolo, Signore, o Sono felice nella comunità, sono diventati orizzonte, mistica e profezia.

Padre Raimundo Vanthuy Neto 

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