Individuare domande, cercare risposte

10
Ott

La visita alle comunità di Beira e Dondo, in Mozambico

Sembrano persone che non si fanno tante domande, i mozambicani: vivono con quel poco che c’è o che riescono ad avere, accogliendo le traversie della vita come aspetti ineluttabili dell’esistenza. Piove a dirotto anche nel periodo in cui di solito non ci sono precipitazioni? C’è un inverno freddo come non si è mai verificato? Arrivano imprese cinesi a costruire le grandi vie di comunicazione del paese? A scuola i maestri e i professori oggi non arrivano? C’erano dei finanziamenti offerti da una ditta per l’ospedale, ma non si trovano più nel conto bancario del Centro di salute? Dobbiamo andare tutti a sentire il politico o l’amministratore di turno che in piazza tiene il comizio? È meglio partecipare alla manifestazione del partito al governo o a quella dell’opposizione? Come mai in altri paesi per studiare ci sono i libri nelle scuole e invece qui non se ne vedono?

E si potrebbe andare avanti con decine di altre domande, che si affacciano subito alla mente quando si rimane in questo paese più di qualche giorno, nella sua estensione di superficie che è più di due volte l’Italia, con una popolazione di circa 30 milioni di abitanti, un’economia che si basa principalmente sull’agricoltura e sul settore minerario, un debito pubblico ancora alto e uno sviluppo minimo della domanda interna. Il Mozambico ha anche una popolazione molto giovane, e i bambini sono sempre, a qualsiasi ora, visibili e presenti (il 45% della popolazione ha da 0 a 14 anni), come pure i giovani (il 22% della popolazione ha dai 15 ai 24 anni) e dove il mondo adulto è sempre in movimento per cercare di vivere, di sopravvivere, di trovare soluzioni per il futuro di una vita che non è mai molto lunga (dai 24 ai 54 anni c’è il 28% della popolazione, che poi dai 55 in poi crolla al 3,5%, visto che la speranza di vita è di 57 anni per le donne e di 56 per gli uomini).

Che buona notizia di Vangelo risuona in questo paese, in questa piccola porzione di Chiesa dove i cattolici sono il 10% della popolazione, animata religiosamente da molte altre confessioni cristiane e da gruppi/movimenti di vario tipo, oltre alle religioni tradizionali?

Sono davvero molte, interessanti, a volte inquietanti le domande che questa realtà di missione pone alla nostra congregazione in un mondo che è davvero totalmente altro da quello da cui proveniamo come origine dell’Istituto. Quell’Italia del mondo occidentale europeo in cui il cristianesimo si è sviluppato e ha animato per secoli la vita di fede delle persone, ne ha permeato la cultura, la forma mentis, le arti; per molti anni ne ha plasmato anche la convivenza civile, mentre oggi è diventata una scelta di vita, di fede, di appartenenza, che non vede più una “cristianità” a sostenere la scelta, e forse proprio per questo, anche se minoritaria, diventa comunque significativa per il mondo occidentale.

Come suore Orsoline siamo da quasi vent’anni presenti in Mozambico e le domande che le nostre sorelle hanno cercato di cogliere come segno di una presenza evangelica in mezzo a questo popolo sono molte. A qualcuna abbiamo cercato di rispondere fin dagli inizi della nostra presenza in questo paese dell’Africa del sud che si affaccia con una lunga costa sull’Oceano Indiano, ambita colonia per i grandi navigatori che sono stati i portoghesi, dai quali il paese si è reso indipendente nel 1975. Noi siamo arrivate dopo la guerra civile e alla conclusione del processo di pace del 1992, dopo che la nazionalizzazione delle opere della Chiesa e il relativo inglobamento nello stato ha visto piano piano le strutture delle chiese, delle scuole, dei centri sanitari di molte congregazioni religiose venire restituiti ai loro proprietari legittimi o alla diocesi.

Quali sono le domande in cui abbiamo intravvisto una chiamata ad “abbracciare il mondo con cuore grande”, come si esprimeva Madre Giovanna, rispondendo con una vita apostolica, fraterna e spirituale che caratterizza la nostra vita religiosa? Certamente l’ambito pastorale catechistico, con un’attenzione particolare per le giovani e le donne; come pure l’ambito pastorale caritativo, con uno sguardo e un’azione specifica per le giovani mamme, per le donne malate di AIDS, per i bambini malnutriti. Ma oltre a queste risposte di missione c’è un aspetto trasversale che sembra urgente oggi per la nostra attività in Mozambico,  un elemento che può balzare meno agli onori della cronaca a causa della sua quotidianità e a volte  anche per la segretezza di alcune situazioni, ma che viene richiesto da una Chiesa e da una società civile che vive spesso di espedienti sottotraccia, di non detto nella conduzione economica del lavoro e delle attività: la testimonianza di vita lavorativa onesta, rigorosa, professionale, dentro le istituzioni civili ed ecclesiali, perché esse possano essere trasformate dal di dentro da uno spirito di servizio evangelico che immette logiche di giustizia, di attenzione ai poveri, di legalità. In un paese dove l’attenzione al proprio tornaconto personale prevarica sul bene comune e sull’onestà, ci sentiamo interpellate a dare risposta al bisogno di cambiamento nella legalità che la società civile e la comunità ecclesiale richiedono.

Lavorare nelle strutture dell’Università cattolica del Mozambico con questi criteri è una richiesta forte che il primo rettore dell’UCM ha fatto alle nostre sorelle, e che anche l’attuale rettore don Alberto Ferreira continua a sottolineare, a porre al centro dell’attenzione, perché le ancora giovani strutture di formazione universitaria cattoliche siano un esempio di come è possibile proporre un percorso di studio a quei giovani che diventeranno la futura classe media, la classe dirigente di questo paese, formando al bene comune e di tutti, non solo per se stessi o per la propria famiglia, amici e parenti. Una grande sfida, una grande domanda, una risposta possibile. Il vescovo dom Claudio Dalla Zuanna ci ha raccontato che in una visita nel nord del paese ha incontrato alcuni ex studenti dell’UCM divenuti dirigenti di una struttura sanitaria e di un comparto della pubblica amministrazione: “Ricordano con gratitudine di aver potuto studiare anche grazie ad alcune borse di studio procurate dalle suore Orsoline, ma ciò che si vede in loro è soprattutto l’onestà e la correttezza, l’intendere il proprio lavoro per un bene comune. È un grande risultato della formazione universitaria all’UCM che, oltre alla preparazione professionale, pone le basi di un’etica cristiana del lavoro”. Sembrava di sentir risuonare le parole delle nostre Costituzioni, al n. 19: “La Chiesa attua in pienezza la sua missione se anche la donna vi partecipa con i doni specifici del suo essere. Con questa consapevolezza annunciamo la sua fondamentale vocazione a prendersi cura della vita in tutte le sue espressioni e ad operare affinché le istituzioni raggiungano l’idoneità a servire la persona”.

Un servizio alla persona fatto con grande professionalità e dedizione anche nel Centro di salute di Mafambisse, dove una nostra giovane sorella laureata in infermieristica è responsabile dell’organizzazione, a fianco di un unico medico che deve far fronte a tutte le richieste di cura specifica. Se la visita all’ospedale di Beira ci ha lasciate molto amareggiate per la situazione igienico-sanitaria in cui versano i degenti, quella a questo centro di salute periferico, praticamente una delle strutture di base a cui si rivolgono centinaia di pazienti, ci ha rinforzate nell’idea che rispondere con professionalità, a volte anche con direttività, alla domanda di un bene comune per la salute di base, porta davvero le istituzioni a poter servire la persona.

Istruzione, sanità, cura pastorale del popolo di Dio in comunione con la Chiesa: risposte che allargano il cuore e la mente, che immettono un’energia di bene nei lavori di base che in Mozambico diventano spazi di futuro, annuncio e profezia.

sr. Federica Cacciavillani

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