LACRIME, SPERANZA, DIALOGO, FRATERNITA’, PACE
A partire da aprile 2013 abbiamo vissuto assieme al nostro popolo mozambicano, tanto amato, la situazione del conflitto politico-militare tra i due maggiori partiti in Mozambico: FRELIMO (Fronte di Liberazione del Mozambico) e RENAMO (Resistenza Nazionale Mozambicana). Abbiamo vissuto giorno per giorno la minaccia alla pace, con grande preoccupazione, angustia, interesse nell’avere informazioni attualizzate e credendo nella forza della preghiera. La PACE, come un grande dono, un bene prezioso, irrinunciabile per qualsiasi persona e popolo.
Nell’ottobre del 2012, FRELIMO e RENAMO sono giunti nuovamente al punto di rottura in seguito alla decisione del leader di quest’ultima, Dhlakama, di ritirarsi, assieme all’ala militare del partito, nella foresta di Gorongosa, accusando FRELIMO di aver violato l’accordo siglato 20 anni prima. Sono cominciate le esercitazioni militari degli antichi combattenti della Renamo e di vari giovani del partito.
La crisi della pace si è intensificata a partire da aprile 2013, provocando una tensione politica e militare che ha raggiunto proporzioni allarmanti e profondamente minacciose per il processo di riconciliazione e di consolidamento dello Stato di diritto e democratico.
La tensione è iniziata dopo un attacco delle forze militari del governo ad una base della RENAMO nella provincia di Sofala dove vivono le due nostre comunità.
Quotidianamente, nella preghiera, è stata presente questa situazione di sofferenza della nostra gente, chiedendo incessantemente il dono della Pace e del dialogo fra i governanti.
Un attacco contro la polizia in cui sono morte cinque persone ha dato inizio ad una campagna intensa di guerriglia reciproca. La strada che porta a Maputo (la capitale) è stata chiusa e si è resa pericolosa, tanto che ha costretto sr. Rita Gecchele ad andarvi in aereo per il corso dei formatori. Chi doveva viaggiare tra Muxúngué e il fiume Save, lo poteva fare solo scortato e protetto dai militari. Il Paese ha così cominciato ad affrontare molte conseguenze negative provocate da questa crisi, specialmente per le persone che vivono all’interno, lontane dai centri e nelle province dove più forte è stato il conflitto armato. Centinaia di famiglie di contadini hanno dovuto abbandonare le loro case perdendo i beni e i raccolti necessari per il sostentamento. Con l’abbandono dei campi e delle aree coltivate la stagione agricola è stata compromessa.
Il 17 giugno 2013, molto preoccupate per la situazione, ci siamo riunite in preghiera chiedendo intensamente il dono della Pace. C’è stato infatti un attacco militare nel distretto di Dondo e della parrocchia di Dondo (dove siamo presenti) che ha provocato 7 morti e molti feriti. Oltre al prolungarsi della violenza, ciò che ci ha lasciato ulteriormente tristi è che il governo ha messo tutto a tacere, le famiglie dei morti hanno dovuto soffrire “privata-mente e in silenzio” e non hanno potuto divulgare la notizia della morte dei loro figli.
I racconti della gente delle zone dove si concentrava il conflitto confermavano casi di minacce e di persecuzione ai contadini da parte delle due fazioni, che li scambiavano per collaboratori di una delle fazioni, solamente perché il loro desiderio era continuare a vivere in quelle zone e preservare il raccolto. Così la paura per questi soprusi e per lo spettro della guerra hanno cominciato a farsi forti, sia per la violenza che per la violazione dei diritti alla vita, alla sicurezza, all’abitazione, all’alimentazione, al lavoro, alla libertà di circolazione. Molte famiglie sono fuggite, accolte in scuole o altro, ma senza condizioni minime di vita, come l’acqua potabile, e molto spesso soffrendo la fame, in particolare da parte dei bambini.
Il popolo non voleva questa guerra, non voleva alcuna divisione, voleva un Mozambico unito e ha sempre manifestato il ripudio contro gli assassini, le morti, le fughe di molte famiglie. Anche noi ci siamo sentite solidali con tutti coloro che in questa situazione di conflitto, di pericolosità e di esodo hanno avuto nel cuore il dono della fraternità e hanno accolto con coraggio e determinazione i rifugiati.
La sera del 7 settembre 2013, con tutto il numeroso popolo di Dio, abbiamo partecipato alla preghiera per la Pace. È stato un momento molto intenso. Abbiamo unito la nostra voce alla voce del popolo che gridava: “vogliamo pace, no alla guerra, rispetto per la vita”. Così come abbiamo pregato il 4 ottobre, festa della Pace, festa dell’accordo firmato nel lontano 1992 a Roma, che ha messo fine alla guerra civile dopo anni di sofferenze, morti e tradimenti tra fratelli, perché il dialogo possa vincere il male, vincere ogni sopruso, vincere la sete di potere.
Anche noi sentivamo angustia, tristezza, per il sangue innocente, sia di civili che di militari, tutti figli di questa patria. Abbiamo testimoniato e visto le tristi immagini di donne e bambini che abbandonavano le loro case e che si rifugiavano, ora in una zona ora in un’altra. Abbiamo partecipato a delle manifestazioni organizzate dalla Lega dei Diritti Umani con il cuore pieno di lacrime per le sofferenze e le morti, ma anche pieno di gioia nel testimoniare come la gente vuole crescere nel rispetto reciproco e in un clima di pace e di democrazia.
Noi suore preghiamo e dialoghiamo con le persone incentivando il dialogo, l’apertura, l’umiltà, il superamento dell’egoismo e dello strapotere. Ogni situazione nella vita è un insegnamento!
A gennaio 2014 si è cominciato a vedere uno spiraglio in fondo al tunnel: Frelimo e Renamo sono tornati a negoziare con la presenza di mediatori. L’avvicinarsi delle elezioni, il ricordo della guerra civile e il desiderio di evitare danni alla già fragile economia hanno convinto della necessità di giungere ad un accordo. Il primo passo compiuto dal governo è stato quello di acconsentire ad una riforma del sistema elettorale, poi c’è stata la presentazione di una legge di amnistia per coloro che sono stati ingiustamente sospettati di crimini commessi nei due anni di guerriglia. Si e così giunti, il 5 settembre 2014, alla stretta di mano con la firma di un accordo tra le parti e alla sua trasformazione in legge da parte dell’assemblea parlamentare.
Grande sollievo e gioia di tutto il popolo mozambicano e di noi con loro!
Degna di particolare menzione è l’azione svolta nel processo di pacificazione dal governo italiano e dalla Comunità di Sant’Egidio. Anche perché il governo italiano ha senz’altro temuto che il riaprirsi delle ostilità potesse perturbare l’andamento degli investimenti delle aziende italiane, ormai più di 300 sul territorio mozambicano. L’intesa del 5 settembre ha portato al raggiungimento di due risultati: l’aumento delle possibilità di ripresa del Paese ed il rafforzamento della partnership strategica italo-mozambicana.
Il Mozambico rappresenta per l’Italia una risorsa importante, poiché le scoperte di ENI potrebbero attenuare le costanti problematiche concernenti l’approvvigionamento energetico cui l’Italia deve far fronte. Inoltre, allargando al panorama europeo, la firma degli accordi potrebbe incentivare i membri dell’UE ad aumentare i propri investimenti in soluzioni alternative all’attuale piano energetico fortemente sbilanciato verso un Oriente ad oggi piuttosto inaffidabile. Per tutto questo abbiamo visto apparire in Mozambico il primo ministro Renzi.
Il 15 ottobre 2014 il popolo mozambicano è andato alle urne per votare i propri leader politici e il presidente della Repubblica. In mezzo a mille problemi di corruzione ha vinto il FRELIMO, ma in tutta la parte centrale del Mozambico ha vinto la RENAMO: nuova tensione e impasse, tanto che solo dopo tre mesi è stato annunciato il nuovo presidente, Nyusi, e i risultati parlamentari.
A febbraio 2015 si è trovato un accordo che sarà messo in atto per tappe dove la regione centrale avrà una certa autonomia. Speriamo nel buon proposito! Ora si respira maggiore tranquillità.
È vero che il paese è in un’eccezionale fase di espansione e di sviluppo economico. Tuttavia, nonostante un miglioramento complessivo, nonostante anche una certa evoluzione politica e sociale, il Mozambico resta segnato da debolezze strutturali. Speriamo ci sia più stabilità e cresca la democrazia. In questo contesto ancora frammentato, l’Italia sta provando a ritagliarsi un ruolo importante, sia attraverso la partecipazione ad azioni multilaterali, sia attraverso l’instaurazione di un nuovo modello di cooperazione allo sviluppo. Ci auguriamo non sia un nuovo colonialismo, ma sia un processo rispettoso delle differenze e delle specificità locali, che aiuti veramente a far crescere questo paese senza rubarne le ricchezze. Questo vale per tutti coloro che stanno sfruttando gli immensi giacimenti di carbone, grafite, pietre preziose, petrolio, gas, ecc.
Malgrado i dati positivi sui tassi di crescita, legati prevalentemente al settore delle materie prime, bisogna però costatare che la ricchezza prodotta è male distribuita: il 54% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà, il settore agricolo rappresenta ancora la sussistenza per l’80% della forza lavoro e le infrastrutture e il sistema sanitario ed educativo sono ancora inefficienti.
Questa esperienza ha fatto sentire ciascuna di noi “una di loro”, ci ha aiutato ad essere più generose nel donarci, a sentire ardere in noi il fuoco che ci spinge a far crescere, in noi e attorno a noi, il dialogo, il rispetto, il perdono, la speranza, la ricerca di nuove strade per accogliere le differenze, per vincere la povertà, per avere speranza nella vita.
Abbiamo fatto nostro il concetto filosofico africano che in lingua locale si dice “UBUNTU”, cioè “io sono perché noi siamo”, “io sono umano e la natura umana chiede compassione, condivisione, rispetto, empatia”. La persona Ubuntu ha coscienza che ne è coinvolta quando i suoi simili sono umiliati, oppressi, sfruttati.
A cura di sr. Margherita Drago