Sinodo per l’Amazzonia: ben più di un documento

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Ott

di Cristina Simonelli, pubblicato su www.ilregno.it il 29 ottobre 2019

Dal documento finale, votato dall’Assemblea dei vescovi, emerge una Chiesa che assume con forza il grido dei poveri e della terra, ma è molto meno coraggiosa nell’affrontare il tema dei ministeri. Se leggiamo il testo nel quadro delle dinamiche vitali che lo hanno preceduto e accompagnato, emergono chiaramente resistenze e non-detti, ma anche la forza di una conversione sinodale già in atto e che non può essere arrestata.

Il Sinodo dei vescovi sulla regione panamazzonica è giunto a una tappa importante: la “conclusione” con un documento finale approvato con larga anche se diversificata maggioranza (qui una sintesi in italiano). Vi risuona la forza di una Chiesa che prende parola per la terra e per i poveri, contro ogni ingiustizia, “con” le popolazioni indie e afrodiscendenti non “per” loro. Molto più moderato l’aspetto ecclesiale e ministeriale, sulla ordinazione di uomini sposati al presbiterato e sui diversi ruoli di leadership delle donne, ordinate o meno. Per questo è importante tenere presente l’intero percorso, prima e durante l’assemblea sinodale. E sapere che è solo una tappa, verso altro.
Il rischio dell’estrattivismo ecclesiale
Aver pensato di usare il Sinodo dell’Amazzonia – come spesso si è chiamato in termini abbreviati –per risolvere problemi ministeriali e alleggerire zavorre della Chiesa cattolica tutta è stato un atteggiamento in primo luogo ingenuo e – mi rendo conto meglio adesso, a percorso parzialmente concluso – ingiusto. In fondo, una sorta di estrattivismo ecclesiale e teologico, uno sfruttamento cioè del coraggio e delle difficoltà di quelle chiese per poter discutere quello che la vecchia Europa sembra voler lasciare al disagio comune ma inespresso o a piccoli gruppi che possono essere considerati velleitari (come noi teologhe o varie associazioni di donne cattoliche).
Intanto sarebbe un porre le questioni tipicamente legate alla gestione delle comunità al primo posto, ignorando che specie in Amazzonia donne e uomini delle Chiese vivono nella carne nel cuore nella mente l’urgenza posta dal grido della terra, dallo sfruttamento delle foreste, dal disastro dell’ecosistema, che in Europa è ancora istanza prevalentemente intellettuale ed elitaria, anche se in progressivo miglioramento (si vedano ad esempio le comunità e l’associazione Laudato si’).
Sinodalità, leadership e ministeri
Non si può dunque tralasciare tutto questo e leggere il Sinodo solo a partire dagli ultimi numeri, legati alla conversione ecclesiale (Capitolo V: Conversione sinodale). È comprensibile tuttavia che sia alto l’interesse per i paragrafi dedicati alla conduzione delle comunità, alla leadership e in generale alla teologia e alla disciplina dei ministeri ordinati, per gli uomini e le donne.
 
È precisamente a questo punto tuttavia che si impongono alcune precisazioni, già anticipate all’inizio: il cammino sinodale in generale e questo in specie è molto, ma molto, di più della assemblea dei vescovi in senso stretto e del documento finale che ne è uscito. C’è stato un lavoro di scambi e consultazioni capillari e attente, confluito anche, non solo, nella Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM) e poi nei dibattiti dei nei circoli minori. C’è stata cioè una sinodalità in atto, di uomini e donne, teologhe e teologi oltre i vescovi, che già è quel liderazgo, quella leadership a disposizione di tutti che già esiste e che il documento finale chiede venga riconosciuta.
 
Per questo giustamente la stampa diffonde anche tanti interventi di donne, laiche e religiose, ma non è proprio il momento di dividersi su questi aspetti, che sono parte importante di questo Sinodo, di ciò che è stato e di ciò che ancora sarà. Per ciò che riguarda le donne, ad esempio, l’affermazione netta che esse rappresentano l’80% di chi opera la pastorale non può essere disattesa, semplicemente: ne risponderemo alla storia.
Certo questo aspetto coinvolge la struttura stessa del Sinodo, che è formalmente dei vescovi e che non c’è dubbio chieda una riflessione, spesso presentata nella forma civile della richiesta di voto per le superiore generali. La questione può essere affrontata da punti di vista diversificati, ovviamente, ma l’anomalia che segnala non deve essere semplicemente archiviata.
Non fermiamoci alla lettera del documento finale
Per tutti questi motivi ritengo che non si debba individuare la conversione sinodale solo nella lettera del documento, in ciò che c’è scritto, ma occorra leggerla attraverso di esso. Leggere solo nel documento infatti lascerebbe l’impressione di una cosa limitata: tante giustificazioni e lodi al celibato ecclesiastico del (solo, mi permetto di sottolineare) clero cattolico latino, da dove nascono? Perché ordinare uomini sposati – secondo l’antica e veneranda tradizione della Chiesa indivisa e secondo la prassi delle altre Chiese – dovrebbe chiedere tante precauzioni? Non è un matrimonio obbligatorio: perché dovrebbe porre in discussione il libero carisma del celibato?! O abbiamo paura di eliminare le gerarchie spirituali, una sorta di concorso a punti tra stati di vita?
 
Nello stesso modo, la richiesta di forme non ordinate di leadership delle donne, letta in Europa può sembrare riduttiva, analogamente alla richiesta di “ammettere” le donne ai ministeri istituiti di lettorato e accolitato, che di fatto svolgono ovunque, e che sembra un “minimo sindacale”. Evidentemente tuttavia (visti anche i voti ricevuti dai singoli passaggi) le resistenze sono alte e di altro tipo, come si è più volte detto: è riduttivo pensarle unicamente sul piano del diritto canonico.
 

In questo quadro si colloca anche la sensatissima richiesta di avere accesso ai documenti della Commissione che ha già lavorato sull’ordinazione diaconale delle donne (n. 103). Prima di farne un’altra, discutiamo pubblicamente di quella, magari. In tutti questi casi e per tutti questi aspetti, appunto, l’importante documento che è stato approvato, è un’area di sosta, una transizione importante, che ha alle spalle molto cammino e al suo interno molte voci plurali, che non finiscono certo adesso.

 
Con gratitudine per chi ha percorso intanto questa via, proseguiamola con dedizione e speranza, per la Chiesa e la terra.
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