Shalom! L’annuncio di pace del Risorto

30
Ago

Shalom!”. È la prima parola che Gesù rivolge ai suoi, ripetendola addirittura due volte, quasi di seguito, nel racconto che costituisce il primo epilogo del Vangelo di Giovanni al capitolo 20.

È necessario riconoscere nello shalom del Signore, per coglierne il senso, una profondità di significato ben maggiore di quanto possa emergere dai termini di traduzione sia greca di eirene che – per quanto ci riguarda – italiana di pace. Lo shalom biblico, la cui lettera iniziale rappresenta l’elemento del fuoco, che purifica e trasforma, comprende certamente in sé anche il significato di pace come comunemente inteso, ma non è sovrapponibile all’idea di assenza di conflitto, quanto piuttosto ad un modo di essere – anche se mai in modo definitivo – in una situazione di felicità, di pienezza, di armonia e di completezza.

Indica una dimensione di vita umana caratterizzata dall’abbondanza e dalla pienezza di senso che non è mai statica o conquistata una volta per sempre, ma è piuttosto il “frutto” e il continuo rinvio a una vita di fede, sempre rinnovata, che trae origine e forza da un dialogo con il Signore, fatto di ricerca, di ascolto e di risposta/adesione.

È in questo sfondo di significati che si deve cercare di comprendere, e ancor prima di accogliere, lo shalom di Gesù ai suoi discepoli. È la sera del giorno “uno” della settimana, che riporta alla mente l’inizio della creazione come raccontato nel primo capitolo della Genesi, il progetto di Dio per l’umanità, la parola “Sia la luce…” che mette in moto il “venire alla luce” dell’universo e il giudizio di “bontà” sul mondo: “Vide che era cosa buona… E fu sera e fu mattina: giorno uno”. Il richiamo dell’evangelista Giovanni è teso a manifestare la risurrezione come un nuovo inizio/compimento di creazione.

I discepoli erano chiusi in un luogo per il timore dei giudei, ma erano sicuramente anche chiusi dalla paura che paralizza ogni azione e ogni speranza. In questa situazione di paura viene il Signore in mezzo ai suoi discepoli: il verbo è al presente, perché sempre il Signore viene in mezzo a noi, al centro delle nostre chiusure e delle nostre paure. Viene e dona la pace, “Pace a voi!”. Non è un saluto o un augurio, ma il dono di una pienezza di felicità che non è “la pace come la dà il mondo” (Gv 14,27). Lo shalom è dono e possibilità che Dio offre all’uomo, una pace nella storia e nel mondo anche se non è della storia e del mondo.

La pace che Gesù dona ai suoi, ha i segni visibili dell’amore per gli uomini e le donne di ogni tempo: “Detto questo mostrò loro le mani e il fianco” (Gv 20,20). I segni della sofferenza, le ferite della violenza, rimangono a manifestare quanto vissuto, ma soprattutto l’amore con il quale Gesù ha dato la vita per tutti e per ciascuno.

Di fronte al Signore risorto, i discepoli sostituiscono la paura con la gioia, una gioia piena perché hanno potuto vedere che la morte non interrompe definitivamente la vita, ma anzi che la pace donata da chi è passato attraverso l’odio e la violenza, la sofferenza e la morte vincendoli con l’amore, può tracciare una strada per affrontare i conflitti generati dalla paura e dall’incertezza, dal dubbio e dall’insicurezza rispetto al presente e al futuro.

Sorretti dalla pienezza di questa gioia, i discepoli possono accogliere il secondo dono della pace, che il Signore questa volta elargisce perché sia comunicato all’umanità intera: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”.

Come il Padre ha mandato il Figlio, perché ciascuno avesse una vita piena, così il Risorto invita i suoi, la sua comunità, coloro che scelgono di vivere il suo messaggio, a prolungare nel tempo e nel mondo l’offerta di vita che egli stesso ha vissuto.

La pace del Risorto è un mandato, affinché ogni credente scelga di uscire dalle varie chiusure e paure, per riuscire ad essere vero annunciatore della pace di Cristo a tutti gli uomini e donne nel mondo. L’invito/compito che viene assegnato è quello di donare lo shalom, che per i discepoli non è un potere ma l’esercizio di una responsabilità che desidera raggiungere tutti, come la possibilità di ricominciare sempre relazioni rinnovate dal perdono e dalla riconciliazione. Per renderli capaci di questo compito, Gesù comunica ai discepoli la sua stessa capacità d’amare: “Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete Spirito Santo” (Gv 20,22).

Gesù, con il soffio dello Spirito, rende pienamente umani gli uomini e le donne che in ogni tempo scelgono di essere suoi discepoli e discepole, veri esseri viventi resi tali dal soffio di Dio come nel giardino della creazione: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7).

Nel racconto dell’apparizione di Gesù a Tommaso, “otto giorni dopo”, viene rinnovato il dono di pace e possiamo leggere l’occasione rivolta a ciascuno di noi di fare propria la beatitudine affermata dal Signore: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Tutti i credenti sono chiamati ad accogliere lo shalom del Signore, riconoscendo di essere “beati-particolarmente amati da Dio” perché credono senza aver visto quelle mani e quel costato, e perché, accogliendo il mandato di Gesù, scelgono di diventare essi stessi dei segni affinché altri possano vedere, comunicando lo shalom con gesti, opere e parole che restituiscono e arricchiscono la vita di chi vive la chiusura, la paura e il conflitto.

“L’annuncio evangelico inizia sempre con il saluto di pace… La pace è possibile perché il Signore ha vinto il mondo e la sua permanente conflittualità avendolo «pacificato con il sangue della sua croce» (Col 1,20). (…) L’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità. Supera qualsiasi conflitto (…) in una diversità riconciliata” (EG 229-230).

Donatella Mottin

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