Lo slancio della vita

15
Ott

“Guardare l’oggi intuendo le possibilità di vita che ancora non sono dischiuse e attenderle fiduciosamente”

Molto spesso pensiamo che la nostra vita, come anche la storia dei popoli, delle comunità umane e della chiesa, si fondino sul passato, su ciò che già abbiamo vissuto e che ci ha dato identità. Perdiamo di vista così che il cuore pulsante della vita umana e in special modo della vita credente è la speranza, la capacità cioè di guardare l’oggi intuendo le possibilità di vita che ancora non sono dischiuse e attenderle fiduciosamente. La storia del popolo di Israele, ma anche quella del primo nucleo di discepole e discepoli di Gesù si basa su delle esperienze che non possono essere ripetute, ma rese continuamente presenti con la pretesa di portare oggi frutti di vita e di liberazione, fino ad una pienezza che nessuno è capace nemmeno di immaginare. Se proprio dobbiamo trovare un baricentro, un punto su cui si poggia l’equilibrio del popolo cristiano, dobbiamo guardare al futuro e non al passato.

Forse per le donne questa tensione in avanti è più facile. Il nostro passato ci parla infatti di pesantissime discriminazioni, di ingiustizie, di violenze. Molto spesso anche il Vangelo ci è stato strappato perché svuotato della carica liberante che ha per noi e ridotto a giustificazione del nostro soffrire, facendo di Dio un complice di ciò che non è nemmeno umano. Se questo è vero possiamo attingere alla nostra capacità di speranza, magari ricordare lo sguardo delle nostre nonne che non avevano sperato per sé ma per le loro figlie l’accesso all’istruzione e magari la possibilità di decidere se e quando avere figli. Oppure ricordare lo sguardo delle nostre madri che spesso non sapevano nemmeno riconoscere il carico iniquo che la società imponeva loro ma allo stesso tempo hanno provato a crescerci senza che questo carico passasse sulle nostre spalle: almeno ci hanno provato, almeno alcune. Le animava la speranza di quello che non si era (e non si è) mai visto: un mondo più giusto.

Della stessa speranza oggi ha bisogno la nostra gente affaticata e smarrita, spesso emotivamente spinta a rifugiarsi nella paura dei cambiamenti e degli altri, quasi si potessero mettere indietro le lancette dell’orologio e ritrovarsi nel mondo che già si conosceva, anche se poi tutti sanno – senza dirlo – che non era affatto migliore di quello di oggi. Proviamo allora a far risuonare le parole del Vangelo e quelle dell’esperienza umana, incapace di non attendere qualcosa d’altro, un di più di vita che ancora non si vede ma si vedrà. Lo sappiamo perché i semi piantati in terra poi danno cibo, perché le gravidanze finiscono in un parto e il tempo speso a insegnare o nutrire diventa vita impegnata e responsabile. Solo la speranza, solo la capacità di vedere la vita che ancora deve spuntare, ci fa liberi/e di lasciare andare via il passato che non ci nutre più. Ciò che è stato non è tutto né la parte migliore: il compimento ci sta davanti.

Molto spesso mi è capitato di pensare che se fossi stata al posto di Maria Maddalena o delle altre discepole ferme ai piedi di Gesù risorto non sarei andata ad annunciare un bel niente ai discepoli. Potevano venire al sepolcro se ne avevano voglia. Non erano venuti e non lo avevano visto, io sarei rimasta lì a riempirmi gli occhi del suo sorriso e le orecchie del suono delle sue parole. Ma le donne al sepolcro hanno un’altra sapienza, hanno cioè lo sguardo che permette di andare oltre l’oggi e non si accontentano di riavere ciò che era stato, vogliono di più, vogliono ciò che era stato loro promesso. E così lasciano lì niente meno che il Signore risorto e corrono dagli increduli discepoli ad attendere ciò che sembra impossibile, abbandonando proprio ciò che tanto le aveva nutrite e che avevano lì a portata di mano.

Se infatti sperare permette di continuare a vivere quando si è nella sofferenza, ancora di più ci fa capaci di abbandonare ciò che ci rallegra prima che smetta di farlo, prima che i doni ci ingannino e ci rendano incapaci di crescere, di essere liberi, di amare. La speranza ci impedisce così di fossilizzarci lì dove siamo, aggrappati a quello che abbiamo conosciuto e che in un qualche momento ci ha fatto del bene. E così diventiamo desiderosi di muoverci, di andare avanti, nella consapevolezza che non abbiamo ancora visto la pienezza dell’amore, per cui occorre camminare, spostarsi, cambiare, rinnovare, impegnarsi e attendere per godere ciò che la speranza ci fa desiderare.

Anche Dio è così: colmo di speranza. Come avrebbe potuto creare il mondo autonomo e gli esseri umani liberi, se non avesse uno sguardo capace di contemplare ciò che ancora non è accaduto ma che solo si può sperare? Come potrebbe perdonare, se non sperasse davanti ad ogni nostro ostinato e ripetuto rifiuto, che quello sarà l’ultimo o che comunque sapremo dare frutti di vita rinnovata?

E infine come potrebbe offrire continue opportunità di vita a chi le getta via, se non scorgesse all’orizzonte ciò che noi non osiamo immaginare? Forse la speranza domina la vita umana anche là dove a rigor di logica non dovrebbe proprio per questo misterioso essere di Dio, sempre pronto a rinnovare promesse, a inventare nuove strade, ad accogliere nuove vite, a lasciare vuoto ogni sepolcro.

Le grandi capacità tecniche e scientifiche che abbiamo, le competenze e le opportunità, non sono sufficienti a darci quello slancio che spinge la vita più avanti, che supera gli ostacoli e costruisce novità. La speranza invece ne è capace. Per questo occorre abitare in mezzo al popolo cristiano perché si riscopra animato da essa e così a sua volta la indichi alle persone in mezzo alle quali vive e con le quali affronta le fatiche di ogni giorno.

Lo sguardo fisso sull’orizzonte ci permette di orientarci per non perdere il cammino, ma anche di non dimenticare che non siamo mai arrivati e che nessuno lo è, perché tutto e tutti attendono di entrare in quel Regno che il Signore ha promesso e che ancora tanto poco abbiamo visto realizzato. Esso è opera di Dio che continuamente fa germogliare la vita, ma è affidato anche a noi che ogni giorno dobbiamo divenire più capaci di intravvedere ciò che sta nascendo e prendercene cura, mentre lasciamo andare ciò che finisce e non è più capace di dare frutti. Solo sperando si può.

Simona Segoloni

 

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