Lasciare spazio nella vita all’inaspettato

02
Ago

In questo nostro tempo, attendere è una delle dimensioni culturalmente più difficili. Siamo nell’era del fast food, di Internet, degli sms, del mito della velocità, della soddisfazione immediata. Viviamo in una cultura, in un modo di essere che rischiano di impoverire la visione della vita, i nostri desideri, il cuore.

Benedetto allora il tempo di Avvento, tempo dell’attesa! Tempo aperto e gravido in cui siamo chiamati a lasciare spazio nella vita per la possibilità dell’inaspettato.

Il senso profondo dell’attesa, per noi comunità Rut (sr. Silvana, Rita, Lorenza e Albina) è un atteggiamento concreto, uno stile di vita, un modo di essere che dà vigore al cuore e lineamenti al volto della nostra sororità.

Da quattordici anni ci troviamo a Caserta, territorio sempre più ‘caldo’, chiamato ogni giorno a scontrarsi con temi scottanti quali: l’immigrazione clandestina, la diffusa illegalità, il dramma del lavoro, assente, nero, precario, del malgoverno della politica e dell’amministrazione sempre più colluse con lo strapotere invasivo esercitato dalla camorra.

Nella ricerca costante di incarnare nell’oggi il dono carismatico della nostra Fondatrice, M. Giovanna Meneghini, la quale dall’incontro vivo con Gesù, il maestro della sua anima, sentiva dilatare i confini della sua interiorità e della sua esistenza da farle sentire il palpito di “un cuore grande bastante per abbracciare il mondo” per noi, comunità Rut, il senso dell’attesa ha preso il volto dell’accoglienza. Accoglienza della storia, dei segni dei tempi che l’attraversano e la scuotono, quali il grande movimento di popoli che ci portano religioni, tradizioni, culture differenti, ‘obbligandoci’ a vivere l’esperienza di fede non come esperienza di stabilità, di tranquillità, di separatezza, ma di movimento, di ricerca, di coraggio di entrare, di stare dentro la storia, di abitare la vita.

Trovare e fare casa è da sempre il sogno di Dio. Ma Dio, anche oggi, ha bisogno di trovare donne e uomini sognatori. Ecco che per noi, comunità Rut, l’accoglienza ha così assunto il volto di una casa. Casa Rut, uno spazio protetto che parla di liberazione, di dignità, di giustizia, ma anche di tenerezza e di bellezza per tante giovani migranti, spesso con in grembo un figlio, vittime di quel ripugnate fenomeno che è la tratta delle donne a scopo di abuso sessuale. Giovani donne, a volte minorenni, dell’est Europa e in particolare dell’Africa, ingannate, vendute, comprate e poi buttate sulle nostre strade come oggetti usa e getta, come merce da comprare per soddisfare la domanda di sesso a pagamento di tanti, troppi, clienti: giovani, fidanzati, padri di famiglia e anziani i quali, con il loro comportamento mascherato di ipocrisia, continuano ad alimentare questa ignominiosa forma di schiavitù.

Casa Rut, uno spazio familiare abitato da tanti volti, da tante storie dove le dimensioni dell’ascolto, dell’incontro tessono e colorano la giornata di “gesti essenziali che servono per far vivere perché evocano il pane, la casa, l’amore, la confidenza, la speranza…” (A. Potente). Che bello sentire e vedere, in alcuni momenti, la casa riempirsi del canto e della danza di queste donne, magari con i loro piccoli portati sulla schiena o ancora in grembo! Come allora non pensare ad un’altra casa dove due donne, entrambe gravide, hanno cantato e danzato il sogno di Dio “L’anima mia magnificat il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché… ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,46).  Da quel momento ogni casa, forse più del tempio, è diventata luogo santo, spazio aperto e fecondo dove Dio continua a irrompere nella storia rendendo possibile l’impossibile.

Casa Rut, uno spazio aperto dove altri volti e altre storie, quelli di tante ‘presenze amiche’, danno un cuore e un volto alla condivisione. Presenze amiche, giovani universitari e gruppi scout, amici e famiglie che, insieme a noi, si fanno compagnia per queste donne e per i numerosi bambini, sostenendole nel percorso scolastico, sanitario, nella ricerca di lavoro, ma in particolare costruendo con loro relazioni di amicizia.

Ma il senso dell’attesa è per noi anche vigilanza. Avere occhi, cuore e intelligenza per esserci nella chiesa, nel territorio e costruire insieme ‘reti’ che con coraggio pratichino i valori della giustizia, della legalità, del rispetto e del riconoscimento dell’altro, della dignità di ogni persona. Esserci, riconoscendo e lottando per i diritti dei senza voce, per i diritti di queste giovani donne, relegate ai margini delle strade e delle periferie provocando e stimolando istituzioni, comunità, famiglie, singoli a riprendere il volto dell’accoglienza. Lavorare per il riconoscimento e il rispetto dei diritti significa superare le logiche dell’assistenzialismo, dell’emergenza, del favore clientelare che sono sempre dei cappi al collo che tengono le persone nella dipendenza e nella non libertà.

Vigilare, essere desti e pronti a non tacere di fronte a parole, fatti e leggi che offendono e umiliano la dignità della persona. Per questo, in nome del Vangelo della vita, la voce della nostra comunità spesso si alza, non solo per manifestare pubblicamente il disappunto nei confronti di proposte o di leggi approvate, disumane e disumanizzanti (proposta D.L. “Misure contro la prostituzione” della ministra Mara Carfagna; approvazione del “Pacchetto sicurezza” che ha introdotto il reato di clandestinità),  ma anche per testimoniare, insieme a tanti altri, che il Vangelo di Gesù Cristo è vita, è speranza per tutte le donne e gli uomini della terra, in particolare per gli ultimi. “Nina ci vogliono scarpe buone, pane e fortuna e così sia, ma soprattutto ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole da una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole. Pane e coraggio ci vogliono ancora, che questo mondo non è cambiato. Pane e coraggio ci vogliono ancora, sembra che il tempo non sia passato…Per riparare questi figli dalle ondate del buio mare e le figlie dagli sguardi che dovranno sopportare, e le figlie dagli oltraggi che dovranno sopportare” (Ivano Fossati).

Con quanta sofferenza costatiamo che questa nostra società, anche quella che continuamente si ‘gonfia’ appellandosi alle radici cristiane, rifiuta i poveri respingendoli, tacciandoli spesso da criminali. Purtroppo sono più le paure in noi che le speranze, più gli interessi che le passioni. E pensare che il Figlio di Dio, fatto carne per noi è stato accolto per primo da ‘puzzolenti’ pastori,  una categoria di persone allora emarginate e rifiutate. Ma proprio loro, i ‘respinti’, hanno riconosciuto e accolto l’avvento e la presenza del Regno in mezzo a noi.

Ed ecco che allora l’attesa è per noi soprattutto invito alla speranza. Invito a perderci dentro la realtà, dentro le storie concrete delle persone, dei poveri, di queste donne migranti per trasformare, con loro, i luoghi di fatica, le esistenze piegate dal dolore e dalla violenza in luoghi e in esistenze liberati e abitati dalla speranza. Impastarci, come il lievito dentro la pasta, per poi ritrovarci insieme nella fragranza del pane maturo, sostegno e profumo per il cammino di una vita sempre nuova. Una speranza che ha aperto vie inedite per questo nostro territorio prendendo corpo e forma di una Cooperativa Sociale che porta il nome di “neWhope” – nuova speranza, con la “W” scritta in maiuscolo per dare visibilità allo slancio di chi prende una nuova strada, di chi vuole mettere ali per andare oltre il passato. Sono in tanti a crederci con noi, il vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro (da sempre vicino e nostro sostenitore), l’attuale vescovo Pietro Farina, la comunità Zaccheo dei padri sacramentini con i quali condividiamo ansie, gioie e fatiche che si trasformano poi in progetti di vita, in cammini di giustizia e di pace da costruire insieme ai tanti amici collaboratori e volontari, comunità parrocchiali, anche di altre parti d’Italia, ma soprattutto le stesse donne migranti. Sono loro a rendere possibile la speranza di un lavoro dignitoso creando, all’interno del laboratorio di sartoria etnica, degli originali e unici manufatti confezionati con coloratissime stoffe africane. E oggi, accanto al laboratorio di sartoria, è nata la Bottega Fantasia, quella fantasia che ogni giorno le ragazze che lavorano nel laboratorio spiegano nei cuscini, nelle tovaglie, nelle borse e nei tanti oggetti che tagliano, cuciono, inventano. La Fantasia, diventata un marchio, davvero di fabbrica, è quella che di ogni giorno fa un giorno nuovo. Ogni manufatto neWhope, creato da queste ragazze, ha un valore immenso, racconta di una rinascita e del coraggio della speranza. Da queste giovani donne – molte diventate madri a Casa Rut ?” giunge l’invito a credere nei germogli di vita sempre nuova che l’inverno nasconde e custodisce dentro di sé, anche dentro un’umile mangiatoia.

                                                                                                                                Comunità Rut

  

 

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