Correre, 2018

08
Giu

Carissima Madre Giovanna,

il vissuto di santità quotidiana – mi verrebbe da dire ‘feriale’ – che ci hai testimoniato e lasciato è per me un prezioso riferimento. Da qualche anno mi colpisce e mi interroga il rapporto negativo che abbiamo in occidente con il fluire del tempo. Le giornate scorrono veloci, addirittura frenetiche, nella corsa tra impegni diversi e pressanti. Spesso le urgenze scalzano le priorità, e si finisce col trascurare dimensioni importanti della vita – l’interiorità, le relazioni, la ricerca del bene… – con conseguenze alla lunga devastanti per le persone, per le famiglie, per la collettività.

Come sai, io sono strutturalmente lenta e i ritmi convulsi mi mettono a disagio, ma riscontro in tutti una forte insofferenza e la sensazione che il tempo sia sempre troppo poco, insufficiente rispetto alle cose da fare.

D’altro canto, mi sembra ci sia una diffusa incapacità a fermarsi, a scegliere, a rinunciare, a riservarsi dei momenti di pausa. Perfino il tempo libero e le vacanze, generalmente, vengono riempiti da un susseguirsi di attività, incontri, viaggi, esperienze…

Da quanto so, le tue giornate iniziavano alle 4.30 e non terminavano prima delle 21.30, e si svolgevano tra faticosi impegni di lavoro, di servizio e di carità, in un’epoca priva delle comodità e facilitazioni apportate oggi dal progresso. Ti immagino, ad esempio, affaticata dagli spostamenti a piedi, gravata dal trasporto dei beni materiali necessari alla vita (come l’acqua), intirizzita dai bucati invernali al fiume… L’immagine – che usavi spesso – dell’esistenza come cammino a volte impervio e faticoso ti deriva forse da queste esperienze.

Non ti mancavano preoccupazioni, affanni e sacrifici, legati certo alle ristrettezze economiche e alla necessità di mantenerti, ma soprattutto al desiderio di aiutare chi vedevi in difficoltà e alla fondazione di una comunità religiosa che Dio ti aveva ispirato.

Eppure, in questa varietà di occupazioni, riuscivi a non perdere di vista l’essenziale, a rimanere interiormente unificata senza lasciarti frammentare da mille sollecitazioni come spesso capita a noi. Tutto era motivato dall’amore a Gesù e orientato a Lui. Le vicende quotidiane, ordinarie e straordinarie, piccole o grandi, erano scandite dalla preghiera e dedicate al Signore. Tutto per Gesù, ripetevi spesso, e nel tuo programma di vita annotavi: per primo offro i miei passi, i respiri miei (che spesso si facevano ‘sospiri’), come tanti atti d’amore…

Niente va perduto e ogni piccolo gesto acquista significato e valore, alla luce dell’intensa relazione con Gesù, che assumendo sulla terra la natura umana, ha nobilitato lo scorrere del tempo. Potevi così incontrare il Signore nei preziosi momenti della santa comunione e dell’adorazione eucaristica, ma anche contare sulla Sua continua ‘compagnia’.

Sollecitata più volte dal sacerdote che guidava la tua anima a stendere per iscritto il tuo percorso, esordisci dichiarando: mi metto a scrivere per far conoscere se fosse possibile a tutto il mondo la bontà infinita di Dio. La cura della vita spirituale ti consente di non farti travolgere dalla frenesia degli eventi, ma di leggerli in profondità, riscontrando in essi l’azione costante e fedele della Provvidenza divina, le tracce di una salvezza che è universale e va annunciata a tutti.

L’urgenza di annunciare al mondo l’amore di Dio mi fa comprendere meglio la tua vocazione di fondatrice e la sollecitudine con la quale ti adoperavi per corrispondere a tale chiamata, pur vedendoti priva di mezzi. Al riguardo scrivevi: per quanto da parte mia cercassi di abbandonarmi nelle mani di Dio, mi sembrava di non fare mai abbastanza. La fede, che è fiducia in Dio, non esime dall’impegno.

Anche tu, come san Paolo, hai corso spedita per le vie del Signore, spronando le tue Sorelle a correre con te e affrontare le inevitabili difficoltà: Coraggio, quanto più ardua è la via tanto più sarà la gioia che proveremo giunte che saremo alla meta sospirata. Parole dettate dalla sapienza dell’amore che non teme le fatiche e non si lascia vincere da esse.

Nonostante la mia propensione alla lentezza, ho sperimentato e riconosco la bellezza di correre con gioia – quella dei santi – quando è l’amore a muoverci. Le quotidiane corse frenetiche e affannate, invece, ci lasciano dentro un senso di vuoto e di inconcludenza. La nostra corsa assomiglia troppo spesso a una fuga ansiosa da fragilità e paure, che ci impedisce di fermarci ogni tanto e chiederci perché e dove corriamo. Ci illudiamo di rimanere vivi finché corriamo, ed esorcizziamo il timore della morte. Ci manca un desiderio autentico e profondo che ci spinga al di là di noi stessi, verso una meta, un orizzonte più ampio.

Nella preghiera, tu Giovanna, attingevi quella libertà del cuore che ti permetteva di non rimanere appiattita sulle urgenze quotidiane, ma di guardare oltre. Se davvero non sappiamo decidere di fermarci ogni tanto, possiamo sfruttare le provvidenziali soste che la vita ci offre, per levare lo sguardo al Cielo, cercando ispirazione e forza. Risuonano dentro di me più incisive le tue parole: abbi di mira la gloria di Dio, non perdere un minuto che non sia a Lei consacrato e vivi felice nelle Sue mani!

Tua aff.ma figlia,

Maria Coccia

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