Circa 7.500 morti, secondo la Repam. A Pentecoste l’appello del Papa per gli indigeni. Il presidente del Cimi: «Il governo brasiliano sfrutta il momento per realizzare la propria agenda che mira al profitto sfrenato»
CITTÀ DEL VATICANO. Circa 7.450 morti, 504 dei quali indigeni. Oltre 156mila contagiati, 12mila solo a Manaus, in Brasile, da dove sono giunte nei giorni scorsi le immagini di fosse comuni. Il dramma del coronavirus sconvolge l’Amazzonia, territorio già ferito da deforestazione, cambiamenti climatici, inquinamento, sfruttamento e traffici illegali delle risorse. Crimini che favoriscono la diffusione del Covid-19, come denunciato dalla Repam. A Pentecoste, il Papa ha lanciato un appello in difesa di questa porzione di mondo, dicendo: «Non risparmiare per l’economia, curare le persone che sono più importanti». Un chiaro monito ai responsabili dei governi, in particolare a Jair Bolsonaro, capo di quel Brasile tra i Paesi più colpiti dal virus, fortemente criticato per aver minimizzato la tragedia e, secondo la stampa locale, falsato pure i dati sui decessi. Di tutto questo Vatican Insider ha parlato con dom Roque Paloschi, 63 anni, vescovo della diocesi brasiliana di Porto Velho e presidente del Cimi (Consiglio Indigeno Missionario), da anni impegnato nella difesa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni indigene.
Dom Roque, il Papa ha lanciato un appello per l’Amazzonia ferita dalla pandemia. Qual è attualmente la situazione sotto il Covid-19?
«La situazione è molto preoccupante. Almeno per quanto riguarda l’Amazzonia del Brasile. La maggior parte delle città ha il minimo delle infrastrutture, mancano servizi essenziali come quelli igienici, unità di salute pubblica, e non esistono, né a un medio né a un alto livello, servizi sanitari per la popolazione. La Regione amazzonica ne ha solo il 10% rispetto al resto del Paese. A causa dell’elevata mobilità delle persone tra uno Stato e l’altro in Amazzonia, insieme alla mancanza di politiche pubbliche di controllo delle epidemie, il Covid-19 ha trovato terreno favorevole per diffondersi rapidamente. I risultati sono disastrosi. Come hanno affermato i vescovi dell’Amazzonia, abbiamo “un vero caos umanitario”. Un’ennesima tragedia che si unisce all’invasione dei territori, alla deforestazione illegale e agli incendi criminali»
Si parla di «strage», è la parola giusta da usare?
«Direi di sì guardando gli ultimi dati che parlano, solo in Amazzonia, di oltre 70 morti, 500 casi di coronavirus confermati, circa 150 con infezione attiva. Le popolazioni indigene e le comunità native sono le più vulnerabili, a causa della distanza in cui vivono e della mancanza di assistenza di base in molti luoghi. Di grande preoccupazione è la deliberata devastazione e l’invasione dei territori dell’Amazzonia secondo un principio per cui l’economia è al di sopra della vita. Questi signori mirano al profitto sfrenato, senza preoccuparsi del benessere della gente. Come ha detto Papa Francesco a Puerto Maldonado: “Mai i popoli nativi e amazzonici sono stati così minacciati come lo sono ora”. La pandemia riporta i fantasmi del passato, il genocidio e lo sterminio di interi popoli a causa delle epidemie che hanno ucciso uomini e donne senza neanche poter seppellire i propri morti».
Queste persone stanno ricevendo aiuto?
«Sì, ma è spesso un palliativo. Come può una famiglia con dieci persone sopravvivere in una casa di due o tre stanze, in isolamento, senza qualcosa da mangiare? L’aiuto governativo è minimo, 600.00 R$ per famiglia, e molte persone infette si mettono in fila per ricevere questo piccolo contributo. Ci sono state però recentemente novità positive, come l’inaugurazione a Manaus di un’ala dell’ospedale con 53 posti letto, dedicata esclusivamente alle comunità indigene. Certo, si risponde così solo alle necessità di una piccola parte della popolazione. E il resto? Non ci può essere sviluppo umano e integrale se non c’è un investimento di risorse nella cura della vita delle persone e della nostra casa comune».
Lei ha seguito personalmente queste situazioni e assistito i malati. C’è una tragedia nella tragedia che non è ancora emersa?
«Sono tante in questa realtà pandemica. La più eclatante è la fame che affligge le numerose famiglie che guadagnavano il pane solo grazie al lavoro svolto alla giornata, magari a nero. Lavorano oggi, per mangiare oggi. Molti sono in difficoltà. Oltre alla fame, poi, c’è tutta la questione della trascuratezza in cui versano tanti poveri dell’Amazzonia e del Brasile nel suo insieme. I senzatetto, ad esempio, sono molto colpiti, così come i numerosi rifugiati provenienti da Venezuela, Haiti e altri Paesi».
Il governo di Bolsonaro viene duramente criticato per aver sminuito la portata della pandemia e non aver adottato strategie adeguate per contrastarla. In molte parti del mondo sembra esserci un miglioramento, in Brasile qual è la situazione reale?
«Secondo dati pubblicati il 30 maggio, in Brasile sono stati registrati 28.849 decessi e 499.966 casi confermati di contagio. Il sistema sanitario è in totale collasso per la rapida diffusione del virus, ma anche per la mancanza di un progetto da parte del Governo federale e di una volontà di mettere in campo sforzi ed energie per combattere la pandemia. Ancora oggi dobbiamo convivere con l’instabilità e l’abbandono politico in Brasile. Non solo: mentre soffriamo e piangiamo la morte di tante vittime del Covid-19, subiamo la mancanza di rispetto dei diritti umani fondamentali. Vediamo in Amazzonia l’aumento della deforestazione, delle morti dei leader indigeni e dei movimenti sociali e gli assassini continuano a rimanere impuniti. Abbiamo sentito dichiarazioni del ministro dell’Ambiente, secondo il quale bisogna trarre vantaggio dal fatto che i media sono concentrati sulla pandemia per “far passare il bestiame”, portare avanti cioè i propri progetti che distruggono l’ambiente e in particolare l’Amazzonia con i suoi popoli nativi. La prospettiva dell’attuale governo, che si basa su una politica neo-coloniale ed etnocida, è preoccupante: si vogliono liberare i territori in cui queste popolazioni vivono per lo sfruttamento economico… Il Brasile, specialmente in Amazzonia, è gravemente minacciato nella sua integrità fisica, culturale e territoriale. È vero quello che dice il Papa: l’economia è al di sopra della vita, delle storie e dei sentimenti delle persone».
Cosa ha fatto e continua a fare la Chiesa in questa fase di emergenza?
«La Chiesa interviene con azioni di solidarietà verso il popolo, in particolare i senzatetto e gli immigrati. Agli indigeni abbiamo distribuito cestini alimentari e materiale igienico, poiché molte persone vivono in vulnerabilità permanente dovuta alla mancanza di delimitazione delle loro terre. Naturalmente non manca il supporto emotivo e spirituale per famiglie e singole persone direttamente colpite dal Covid-19. A causa delle misure di isolamento sociale, il lavoro con le comunità indigene avviene a distanza. Ricordiamo, tra l’altro, che molti indios avevano già scelto di vivere isolati con barriere agli ingressi. Noi rispettiamo tutte le misure, ma cerchiamo di mantenere la comunicazione e di dare sostegno alle popolazioni. In tal senso è significativo il lavoro giuridico e politico svolto dal Cimi in collaborazione con altri gruppi e istituzioni per garantire il rispetto dei diritti degli indigeni. La nostra priorità è che non vengano portate via altre vite umane».
Salvatore Cernuzio