Preghiera come stile

17
Dic

Da soli o insieme, in silenzio o a voce piena, nel ritiro o nella città… tante forme possibili attraverso le quali la preghiera dà forma alla nostra vita

Non poteva mancare, in una esortazione alla santità, un’attenzione tutta speciale alla preghiera, per liberarla da tante incrostazioni, senza perderne la forza trasformante. I passaggi di GE 147-157 sono infatti autenticamente tradizionali e sinceramente inclusivi.

 

Nella tradizione

I riferimenti a Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, al Pellegrino russo e a Charles de Foucault consentono di presentare le coordinate del discorso: la preghiera è “ricordo di Dio”, intensità che fa da sfondo alla operosità più svariata, ed è anche spazio riservato, tempo dedicato e sottratto allo scorrere non solo delle distrazioni ma anche degli impegni. Le numerose citazioni da queste figure, magistero spirituale per molti, raccordano la sezione con elementi molto più antichi e ancora più vasti.

Fin dai primi secoli cristiani, infatti, alcuni versetti biblici che forse oggi consideriamo ben poco sono stati quasi un’ossessione: fra questi il “pregate senza sosta” di 1Tessalonicesi 5,17. Ne è uscita una tessitura preziosa e variegata: pregano senza sosta i monaci “pregatori” (euchiti) che si dedicano principalmente alla contemplazione, ma anche quelli che lavorano con le proprie mani, conservando nel cuore la “memoria di Dio”, le parole della Scrittura o la preghiera del Nome e custodendo gli attrezzi da lavoro come i vasi dell’altare. Agostino offre poi una soluzione che potremmo dire molto laica, suggerendo che l’amore con cui ci disponiamo al mondo costituisce la trama di una preghiera incessante: “Dinanzi a lui il tuo desiderio e il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà. Il tuo desiderio è la tua preghiera, se è continuo il tuo desiderio, continua è la tua preghiera. […] C’è una preghiera interiore che non conosce interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato, non smettere mai di pregare. Se non vuoi smettere di pregare, non smettere mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo, sarà la tua continua voce. Tacerai se smetterai di amare, il gelo della carità è il silenzio del cuore, l’ardore della carità è il grido del cuore. Se sempre permane la carità, tu sempre gridi; se sempre gridi sempre desideri, se desideri ti ricordi della pace. Guarda bene davanti a chi è il grido del tuo cuore” (En sal 37,14).

 

Mettere al mondo il mondo

Simile attenzione è del resto molto importante per la vita moderna occidentale, così frenetica, e in essa per la vita consacrata nelle sue più disparate forme di diaconìa al mondo. Proprio perché sappiamo bene quanta operosità ci attraversa, sappiamo anche che il fiume ha bisogno di soste, di pause. Siamo consapevoli che la corsa ha bisogno della interruzione, spazio vuoto del fluire dei volti e delle immagini, di dolori e di gioie grandi e piccole. Spazio vuoto per il rispetto di ogni piccola vita, che rischierebbe di essere fagocitata anche dal bene compiuto. Spazio vuoto per l’irrompere di “un Altro o un’Altra che per brevità chiameremo Dio”, per la trascendenza e la profondità qualunque sia il Nome con cui ne balbettiamo la presenza.

In molti modi questo spazio vuoto che sa custodire viene paragonato a una gravidanza: si può dire con l’espressione tipica della Comunità filosofica Diotima, “mettere al mondo il mondo”, con la gestazione della creazione di Rm 8, ma anche con altre tradizioni religiose: “Che cosa è dunque il silenzio per un Carmelo nel cuore di Milano? Se posso usare un’immagine, direi che il silenzio è un filtro attraverso cui ogni suono, ogni parola, ogni rumore di cose, ogni grido di uomo, viene accolto, purificato, immerso nell’infinità di Dio: diventa preghiera. […] Questo silenzio a volte palpabile ha una sua voce misteriosa, pacificante, è fonte di gioia e di equilibrio interiore, è frutto di disciplina, anche. E ancora specialmente nelle calde notti estive, dalle finestre ci giungono rumori e suoni dalle case circostanti e, non di rado, dal non lontano stadio di San Siro! Ancora una volta nel mio piccolo cuore di creatura accolgo e chiudo l’universo: il dolore ed il peccato del mondo, le gioie, le speranze, le attese dell’uomo, le sue violenze e umiliazioni, il suo grido di aiuto che mi giunge nell’urlo delle sirene” (sr. Emanuela della Madre di Dio, Il silenzio).

Simile luogo interiore è anche profondamente politico, trasformante della Chiesa e del mondo. Non solo perché, come nella citazione che segue, si svolge anche nei luoghi di tutti, ma ben più radicalmente si oppone a ogni eliminazione di vite, a ogni sottrazione di dignità, a ogni sovranismo, giudicato nella piazza gremita di vita: “La vita di preghiera – la sua intensità, la sua profondità, il suo ritmo – è la misura della nostra salute spirituale e ci rivela a noi stessi. […] Con gli asceti il deserto è interiorizzato e significa la concentrazione di uno spirito raccolto. […] Voi vivete sulla pubblica piazza e portate la pustinia [= deserto] dentro di voi. È questa la vostra vocazione. Siete incinti del Cristo. Siete dei portatori di Cristo, dei portatori di pustinia. Dove? Sulla pubblica piazza. A chi? A tutti coloro con cui avete mandato di vivere” (Catherine Kolyschkine de Hueck Doherty in Pustinia: le comunità del deserto oggi).

 

Ave Maria, ora e per sempre

Secondo inoltre quanto espresso in GE, in specie nelle “santità della porta accanto”, questa impostazione può far di noi persone non invidiose della spiritualità e della preghiera altrui, comunque essa si formuli: c’è la preghiera delle religioni, che a fatica escono dai propri recinti per unirsi a pregare per la pace, per il creato, ma ci stanno provando.

C’è anche la preghiera semplice, che non si imposta nelle forme costituite, come quella di un canto navajo a cui spesso mi riferisco: “io sono una preghiera in cammino, mai solo, mai piangente, mai vuoto”.

Ci sono anche preghiere laiche, a volte, come per Giobbe, imprecazioni che sono più sante di una litania, o parole d’amore fragili ma potenzialmente eterne scritte sui muri da adolescenti in cerca di domani. Ci sono sguardi di semplice presenza di chi non sa più articolare la parola, ma ricorda frasi di poesia e di preghiera: “Guardo il polso aggrinzito / adorno dell’orologio dorato / fermo da anni sulle tre meno dieci / il suo cuore inceppato […] Vaneggiando, la mente collega… / nel tuo altrove, ti prego, / porta pazienza […] e frattanto mia madre m’invita /a ripetere il gioco: la preghiera, / recitiamola ancora, ti prego, / ancora. Ancora. E sono due / tre mille volte: un mantra, una nenia di suoni” (Franco Marcoaldi, Il mondo sia lodato).

Facilmente svolgendosi in Italia quella preghiera mormorata era un’Ave Maria, prece che coraggiosamente ha articolato insieme, anche nel cuore di una Chiesa a questo esplicitamente poco propensa, la tenerezza materna di Dio e il lucido ricordo della morte. Pregare dunque è anche lasciare che tutto questo preghi in noi e per noi, ora e nell’ora della nostra morte, vivi sulla terra e viventi nella eterna dimensione di Dio.

Cristina Simonelli

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