Sguardi interiori e sulla realtà che ci circonda; sguardi attenti e lungimiranti, non giudicanti, inediti… pasquali
“Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi”. È una frase di Amedeo Modigliani, riportata dai biografi, che spiega come mai molti dei volti da lui dipinti abbiano occhi senza pupille. Quegli occhi vuoti, che in realtà non lo sono, divengono simbolo del mondo interiore non detto, di un’identità che non può essere mostrata fino in fondo. Chiedono a chi guarda il ritratto di passare egli stesso dall’esteriorità all’interiorità, di attivare l’occhio interiore: “come se vedesse l’invisibile” (Ebrei 11,27). Tempo fa ho fatto un viaggio con un gruppo in cui c’era una signora cieca; aveva girato il mondo e sapeva raccontare i differenti luoghi in cui era stata con una vivacità sorprendente. Del resto nei racconti di creazione si narra che tutto inizia con l’intimazione del Creatore: “Sia la luce!” (Genesi 1,3); ma il sole, la luna e le stelle arrivano solo al quarto giorno, quindi quel bagliore viene immesso nell’occhio interiore, per saper cogliere la bellezza e la bontà di tutto. Si tratta di un atto creativo posto in principio, che non significa nel primo momento cronologico, ma nel fondamento stesso dell’esistere; quasi a dire che senza un dono di luce che continuamente irrompe, la realtà rimarrebbe nel buio, ma per coglierla sono necessari occhi accesi di novità e di stupore.
All’occhio!
Usiamo questa espressione per dire di stare attenti, richiamando ad una vigilanza che impedisca di lasciarsi sorprendere da ciò che potrebbe destabilizzarci. Non si tratta solo di tenere gli occhi aperti, ma di custodire la capacità di guardare cogliendo i segni, di alimentare una consapevolezza che non possiamo dare per scontata. Sarebbe troppo poco stare all’occhio in qualche circostanza, magari perché qualcuno ci ha messi in guardia. È in questione un modo di stare al mondo, di vivere immersi nella realtà del nostro tempo. Inutile nascondersi che, confrontati con le situazioni che ci scombussolano, verrebbe la tentazione di assumere l’atteggiamento delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. L’indifferenza chiude gli occhi, si preferisce non vedere per non venire interpellati da ciò che accade, vicino e lontano da noi. Molte volte si è condizionati dai mezzi di informazione, manovrati da coloro che hanno potere economico e politico, pronti a fornire una visione delle cose funzionale a chi gestisce il consenso e lo manipola. All’occhio significa pertanto anche aprire gli occhi mediante informazioni alternative, canali diversi da quelli che blandiscono l’occhio e non lo rendono critico e attento.
Farsi l’occhio
Per allontanare la visione di ciò che ci disturba, ci inquieta, ci fa soffrire, non vogliamo occhi capaci di vedere davvero, ma che si limitino a guardare. Ci siamo abituati allo sguardo consueto, abbiamo fatto l’occhio a ciò che accade, in modo che rientri nel panorama conosciuto. Passare ad occhi nuovi potrebbe significare sentirsi spiazzati, mentre vogliamo essere rassicurati. Pensiamo alla fatica, che diviene talvolta rifiuto anche in forma violenta, di un approccio alla realtà che non sia quello dato e scontato, soprattutto quando si tratta dell’occhio di chi si sente in situazione privilegiata. Che bisogno c’è di guardare al mondo con occhi di donna, quando da secoli il patriarcato ha fornito uno sguardo maschile, apparentemente neutro e universale, quindi da accettare da parte di tutte e tutti? Perché accettare di confrontarsi con la visione di chi è straniero, quindi ci è estraneo, quando siamo a casa nostra e non c’è nessuna necessità di avere occhi nuovi e diversi nell’interpretare il mondo? Il disagio che ne viene, per la parte che dovrebbe mettere in questione il proprio sguardo, provoca reazioni e blocchi. E se la paura si vincesse proprio accogliendo occhi nuovi, in parte inediti per chi ragiona delineando ancora confini falsamente securizzanti? Occhi di donna, occhi di straniero, occhi altri…
Miopi e presbiti
Più che gli occhi, spesso sono gli occhiali nuovi che ci preoccupano (anche per i costi!). Le due correzioni della vista, di cui in età diverse si ha bisogno, sono la miopia e la presbiopia. Disfunzioni fortemente simboliche, che dicono l’incapacità di vedere ciò che sta lontano oppure ciò che sta vicino, per cui l’occhio attraverso le lenti viene corretto nella percezione di ciò che guarda. Occhi miopi avvicinano ciò che si deve vedere, con il rischio di… sbatterci il naso! Non si riesce a prendere le distanze, ci si immerge talmente tanto nella vita, da rimanerne intrappolati. Guardare con più distacco, prendere le misure delle cose, lasciare e fare spazio per non catturare tutto e tutti nella propria visione: questo è il dono che occhi nuovi possono fare alle miopie personali e collettive. Ma ci sono anche gli occhi presbiti, che allontanano ciò che guardano per delinearne i contorni, a rischio inverso di non lasciarsi toccare e coinvolgere. Talvolta si teorizza, soprattutto da parte delle istituzioni non ultima quella ecclesiastica, che lo sguardo super partes sia il meno compromesso e quindi il più adatto per non diventare partigiani. In realtà è uno sguardo di comodo per non schierarsi, quando invece le situazioni lo richiederebbero. La storia della salvezza, che culmina in Gesù di Nazaret, racconta invece di un Dio dallo sguardo partigiano, che scruta persone e vicende con occhi di predilezione: non per rendere un popolo eletto sugli altri, ma per “rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili” (Luca 1,52).
Occhi di vita
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, dice il verso di una poesia di Cesare Pavese. L’esperienza del morire chiude gli occhi, a prima vista definitivamente. Purtroppo capita che la morte ha i nostri occhi prima del nostro morire, quando sono catturati unicamente dal negativo e incapaci di vedere vita. Non si tratta di convincerci a vedere rosa, come proverbialmente si dice; quanto piuttosto di scrutare i tempi cogliendone i segni, in un discernimento che percepisce il germinare di ciò che può essere solo un rigonfiamento sul ramo, ma annuncia la bella stagione. Quello che drammaticamente sta avvenendo sulla scena del mondo non apre lo sguardo in direzione della speranza; proprio per questo gli occhi nuovi vanno chiesti e invocati con ancora più determinazione. Sono gli occhi pasquali, che un tempo venivano significati dal gesto di andarseli a bagnare ad una fonte, nel momento dell’annuncio di risurrezione. Occhi battezzati in Cristo morto e risorto, dal dono dello Spirito dato ad ogni donna e uomo di buona volontà, al di là di appartenenze religiose e culturali.
don Dario Vivian