Nessuno escluso

26
Set

La preghiera di Gesù in Gv 17, appello alla comunione tra i credenti che sperimentano e agiscono lo stesso amore di Cristo

Nel Vangelo di Giovanni non c’è il Padre nostro, la preghiera che Gesù invita i discepoli a ripetere quando gli chiedono di insegnare loro a pregare. C’è invece, sviluppata nell’intero capitolo 17 –considerato da molti come il più importante di tutto il Vangelo – una bellissima preghiera che Gesù rivolge al Padre, che può essere letta come un approfondimento o quasi una parafrasi del Padre nostro. Giovanni la inserisce nel lungo discorso d’addio che occupa tre capitoli del suo Vangelo, dopo la narrazione della cena avvenuta prima di Pasqua, con la lavanda dei piedi che aveva scandalizzato così tanto i discepoli, Pietro per primo. È una preghiera che acquista un significato particolare perché è l’ultima che Gesù rivolge al Padre, prima dell’inizio della passione che lo porterà alla morte in croce. È preghiera di intercessione nel senso più letterale del termine perché Gesù si mette “in mezzo” tra Dio e i discepoli per far loro cogliere qualcosa che, attraverso di lui, permetta di conoscere il Padre e di fare comunione con lui.

Gesù prega per i suoi discepoli e la sua prima richiesta è che i credenti siano “uno”, come il Padre e il Figlio sono uno. Dobbiamo però fare attenzione a non considerare questo essere “uno” come sinonimo dell’essere “una cosa sola”, come spesso le traduzioni ci spingono a fare, perché non si tratta di un’unione indistinta, in cui si annullano le differenze di ciascuno. Il desiderio di Gesù e, nello stesso tempo, il progetto del Padre è sì che siamo in comunione ma, innanzitutto, con la piena umanità di noi stessi, con l’umanità altra e diversa di ogni fratello e di ogni sorella e con il Padre.

Tutta l’umanità è chiamata, e questo è contemporaneamente compito e dono, a formare questa unità che può essere tale solo se nessuno viene escluso. La comunione tra i credenti diventa santuario di Dio, luogo e spazio per l’incontro, ma in modo molto diverso da come veniva inteso fino al momento dell’esperienza terrena di Gesù, visto che non tutti avevano accesso agli spazi per stare con Dio. Fare comunione, per chi aveva ascoltato e accolto le parole di Gesù, diventava invece andare incontro proprio a chi si sentiva escluso dall’amore di Dio: peccatori, stranieri, spesso le donne… In questo si gioca la credibilità dell’essere cristiani: nell’apertura a tutti, perché tutti sono figli e figlie di Dio; solo cercando di vivere le relazioni in questa ottica di comunione, con tutte le difficoltà che ciò comporta, il credente diventa sacramento di salvezza.

L’unico modo per capire quale tipo di unione deve esserci nel mondo, è sperimentare e agire l’amore che crea comprensione e comunione, che aiuta a leggere la realtà e, amandola, a discernere scelte e azioni. Ogni credente è chiamato ad essere presenza di Dio nel quotidiano della vita umana e proprio per questo Gesù, pur affermando che i credenti non sono del mondo, sottolinea il fatto che essi sono nel mondo. Gesù non chiede al Padre di staccare i credenti dal mondo, di formare gruppi chiusi o sette, separati dal resto degli uomini e delle donne, nella ricerca di una convivenza più facile e senza contrasti, ma assicura che – nelle difficoltà e nei conflitti – ciascuno sarà custodito affinché possa essere davvero segno dell’amore e dell’unità che il Padre e il Figlio donano.

Nella preghiera di Gesù per ben dodici volte viene ripetuta la parola “mondo”, e già questo ne evidenzia l’importanza. Il rapporto di Gesù con il Padre, così come quello con i discepoli, non può essere spiegato senza far riferimento al mondo. Spesso, nel Vangelo di Giovanni, la parola mondo viene usata anche per indicare chi rifiuta la verità di Gesù e i discepoli che l’annunciano; eppure non c’è la condanna del mondo, anzi i discepoli sono chiamati ad amare il mondo in cui vivono, custodendo il dono di Gesù, cioè la pienezza della gioia. Una gioia che non è cieca di fronte alle difficoltà e alle violenze; che non dipende dalle singole cose che ci accadono, ma che si alimenta della fiducia nella vita e della condivisione, con il Figlio, dell’amore del Padre che non lascia mai soli.

La preghiera di Gesù riguarda tutti i discepoli, cioè tutti coloro che, in ogni tempo e in ogni luogo, riconosceranno e accoglieranno le parole di salvezza che i credenti annunceranno con le loro parole e la loro vita.

Ci siamo anche noi dentro quella preghiera, ed è importante riconoscere la bellezza di essere ciascuna e ciascuno, in ogni momento storico della chiesa, presenti nella preghiera del Figlio, strettamente dentro al rapporto che il Figlio ha con il Padre. Dio nessuno l’ha mai visto e, in quanto Padre, lo si vede dove si possono vedere dei fratelli e delle sorelle che cercano di vivere il suo amore. L’unico modo che il mondo ha per credere che Gesù è stato mandato da Dio, non è l’insieme di dottrine, prescrizioni, obblighi o riti da rispettare, ma persone e comunità che vivendo in modo visibile la piena umanità, facciano emergere la “divinità” dell’essere umano. Solo attraverso l’unione d’amore tra i credenti, che vivono nel mondo rispettando e valorizzando ogni alterità, è possibile far scoprire e conoscere il Dio di Gesù.

L’ultima richiesta di Gesù è introdotta da un voglio: è più di un desiderio, si tratta di una volontà che si realizza. Gesù, che ha fatto conoscere ai suoi discepoli l’amore con cui egli stesso è stato amato dal Padre, vuole che quell’amore sia condiviso con ogni essere umano.

Che cosa straordinaria riuscire a credere, in modo consapevole, che ciascuno e ciascuna è amato nello stesso modo in cui Dio ha amato Gesù: un amore assoluto, che è il desiderio fondamentale di ogni uomo e di ogni donna. Essere uno nell’altro e nell’amore; in comunione, finalmente a casa, perché ciascuno sta di casa lì, dove è amato.

Donatella Mottin

 

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