Voi cosa vorreste?
Che le donne fossero ascoltate, innanzitutto. Alla Chiesa serve una pastorale dell’ascolto delle donne: sacerdoti, vescovi, diaconi e catechisti devono essere preparati a sapere come ascoltare le donne, lasciarle parlare e poi saperle indirizzare verso l’aiuto necessario, anche se non sono psicologi o avvocati. Nei seminari c’è una mancanza di formazione riguardo alle donne: i semina-risti, rimanendo chiusi per anni solo con uomini, non sanno come trattare le donne o comprendere i loro problemi. Il risultato è che anche molte decisioni vengono prese senza tener conto delle donne, e questo nonostante proprio da donne sia composta la maggioranza del popolo di Dio.
E poi?
Ascoltare le donne significherebbe aprirsi alla loro visione del mondo, allo sguardo e al racconto che solo loro possono avere della fragilità e della vulnerabilità delle comunità in cui vivono, perché per prime le sperimentano la fragilità e a vulnerabilità in quanto donne. La Chiesa potrebbe e dovrebbe avere un “volto femminile”: per la loro natura le donne sono più esperte nell’essere vicine agli ultimi, sono più empatiche, queste capacità permetterebbero alla Chiesa di uscire da se stessa e a diventare ancora più missionaria, raggiungendo tutte le persone che ne hanno bisogno, specialmente chi è ai margini, gli ultimi. Noi insistiamo spesso sulla necessità di una metanoia, di un cambiamento di cuore nella Chiesa: le donne non vogliono essere sacerdoti o vescovi, ma vogliono camminare “mano nella mano” con i sacerdoti, con i vescovi, con i seminaristi e con il resto del popolo di Dio perché insieme si può fare molto meglio. La Chiesa perde molto se non permette alle donne di partecipare pienamente.
Come vi state impegnando su questo fronte?
Poco alla volta, passo dopo passo, a cominciare dal basso. Stiamo formando le donne alla Scuola per la sinodalità, un’esperienza di ascolto reciproco e condivisione con l’obiettivo di cambiare le strutture e le mentalità proprio a livello locale. Parliamo coi preti, coi seminaristi, con gli uomini, parliamo anche con le donne: il fatto che siano escluse è un problema di cultura, non di donne o di uomini. Spesso, anzi, sono proprio le donne ad avere le idee più conservative. Ci confrontiamo anche coi vescovi nelle diocesi e col Vaticano nei diversi dicasteri. Serve pazienza e serve tempo, ma siamo convinte che un cambiamento è possibile.