Un percorso per esplorare i molti significati che attribuiamo ai piedi e ai passi, nei loro risvolti personali e comunitari
I piedi di noi umani sono una realtà straordinaria, composta di 26 ossa, 33 articolazioni e oltre 100 muscoli, tendini e legamenti. Ci sostengono e ci permettono di camminare, averne cura è fondamentale per il benessere generale. Se tuttavia ragionare con i piedi indica una modalità non certo significativa di pensare, ci poniamo in controtendenza e vogliamo interrogarci proprio a partire dai piedi, per verificare alcune scelte personali e comunitarie.
Dove mettere i piedi? La sequela
L’esperienza cristiana nasce dalla risposta a un invito: “Vieni e seguimi”. A caratterizzare il cammino nella vita dei credenti è la sequela, cioè la decisione di mettere i piedi sulle orme di Gesù e del suo Vangelo, calcandone i passi. L’ascolto della Parola indica la direzione e il metterla in pratica permette di sintonizzarsi con quanto il Maestro ha mostrato con le sue scelte concrete. Un episodio del Vangelo racconta che Pietro tentò di far cambiare direzione a Gesù, dal momento che i suoi piedi andavano verso Gerusalemme, dove lo attendeva il martirio d’amore. La risposta fu lapidaria: “Dietro di me!”. Seguire altre orme è possibile, perché c’è la nostra libertà a farci scegliere dove mettere i piedi; salvo poi accorgerci di avere smarrito la strada, inseguendo percorsi addirittura distruttivi. Se peraltro manteniamo aperta la domanda, il passo falso non diviene scelta irreversibile, che ci condanna. Riconoscere gli errori permette di ricentrarsi sulla via indicata dalla sequela, invertendo la direzione: è la conversione. Colui che ci dona le sue orme da seguire riaccoglie sempre, anche dopo le sbandate più gravi. Il giubileo è tempo di grazia, nel quale fare scelte evangeliche, ritrovando la bellezza di camminare verso la pace, la giustizia, la fraternità. C’è una testimonianza da offrire al mondo, che talvolta sembra condannato a seguire orme disumanizzanti, pensando che quella sia l’unica strada. E la testimonianza di seguire passi costruttivi non è data solo da chi si dice cristiano, ma da donne e uomini di buona volontà, impegnati a contrastare le derive di morte alle quali rischiamo di rassegnarci.
In punta di piedi? Le relazioni
Non da oggi, muoversi in punta di piedi non ottiene un riscontro significativo, anzi spesso lascia ai margini. I piedi bisogna sbatterli, se si vuole essere rilevanti e farsi largo nelle varie situazioni. Vale per i singoli e vale per i popoli, purtroppo. La scelta di camminare in punta di piedi, alternativa alla logica dominante, non è tuttavia solo questione di buona educazione. Si tratta di attivare delle modalità di entrare in relazione, che la rendano davvero possibile, perché non ci si relaziona là dove ci si impone. Il racconto biblico del roveto ardente, nel quale Mosè viene chiamato da Dio per affidargli il cammino di liberazione con il popolo, ricorda che c’è una sacralità da custodire ogni volta che mettiamo piede sul territorio altrui. Il gesto di levarsi i calzari è simbolico dell’apertura all’incontro senza dominio, nella nudità del piede che non prende possesso. Pensiamo agli esiti tuttora drammatici di una modalità tossica di vivere la maschilità, in una cultura patriarcale che da una parte romanticamente afferma che una donna non si colpisce nemmeno con un fiore e dall’altra non esita a calpestarla quando non accetta di essere proprietà privata. I piedi dovrebbero muoversi in punta anche nella relazione con la natura, che stiamo depredando non da custodi, ma da predatori. Si parla da tempo di energie dolci, tuttavia la logica economicista fa prevalere ancora petrolio e carbone, mentre i progetti green vengono bocciati in nome del profitto. La specie umana deve reimparare a camminare sulla terra con piede leggero, altrimenti non ci sarà futuro per il nostro pianeta e quindi per le generazioni che verranno.
Come muovere i piedi? La comunità
Viviamo in una società sempre più individualista e competitiva, per cui muoviamo i piedi come vogliamo, senza tenere conto di niente e di nessuno, affrettando il passo fino alla corsa per competere e arrivare primi. Chi fa rallentare il passo viene messo da parte, scartato come zavorra. E non si tratta solo di singoli, ma di popoli interi lasciati ai margini. Succede sempre più spesso che i genitori di ragazzi iscritti alle scuole di calcio non siano interessati all’esperienza dei loro figli nel muovere i piedi in sintonia con gli altri, imparando così a fare squadra; anzi: arrivano agli insulti se il loro figlio non primeggia. L’esempio è minimo, ma indicativo di una mentalità. Interrogarsi su come muoviamo i piedi nei nostri cammini di vita significa comprendere l’importanza della dimensione collettiva, comunitaria. Nel racconto biblico della creazione Dio stesso riconosce che non è né bella né buona la solitudine dell’essere umano, deve avere qualcuno con cui camminare nel giardino in cui è stato posto. Non sarà semplice trovare il modo di muovere i piedi insieme nella direzione giusta, infatti la prima scelta condivisa dalla coppia è un passo falso. Ma la soluzione non sta nel procedere da soli, quanto piuttosto nel misurarsi gli uni sui passi degli altri, traendo forza dal cammino comune. I piedi dei piccoli e quelli dei grandi, i piedi leggeri dei giovani e quelli gonfi degli anziani, i piedi sani che procedono sicuri e quelli malati che barcollano: umanità diversa e fraterna, che dà volto ad un popolo in cammino. La Chiesa dovrebbe testimoniare questo al mondo, ed è il senso anche della sinodalità: un modo di stare insieme sulla strada, condividendo le scelte per far sì che i piedi si muovano nel confronto tra tutte e tutti, nessuno escluso.
Rimanere con i piedi per terra? La missione
Gesù sale al Padre e il rischio di amiche e amici è di rimanere con il naso all’insù. Una voce li scuote: Non state a guardare in alto, andate ad annunziare il vangelo nel mondo intero! Sarà il dono dello Spirito a mettere ali alla prima Chiesa, ma per rimanere ben ancorata con i piedi per terra, immersa nella storia a camminare con donne e uomini contemporanei. Ciò che è autenticamente spirituale rifugge dagli spiritualismi, a imitazione dei passi di Gesù di Nazaret. Nella sua missione ha mosso i piedi nella terra concreta della gente che incontrava, accettando di sporcarseli, per poi chiedere di lavarceli gli uni gli altri come ha fatto Lui. Vivere la missione evangelica secondo questa indicazione significa amare il mondo, come ha fatto il Padre, fino al punto da mandare il Figlio. Non è mai stato facile, ma oggi la complessità delle situazioni e la negatività delle notizie provenienti dal mondo mettono particolarmente alla prova il nostro stare con i piedi per terra. Qualcuno teorizza che, nel contesto attuale, le comunità cristiane dovrebbero isolarsi dal mondo circostante, come i monasteri al tempo delle invasioni barbariche. In realtà la missione di una Chiesa in uscita non solo fa rimanere con i piedi per terra, ma nemmeno sceglie la terra in cui mettere i piedi. Non c’è terra che non possa essere solcata dai piedi evangelici, superando atteggiamenti moralistici discriminanti.
A chi pestare i piedi? La profezia
Non si fa, di pestare i piedi! Se Gesù non avesse pestato i piedi di qualcuno, sarebbe morto sul suo letto, così come i profeti di tutti i tempi e luoghi. La profezia è scomoda per chi la pratica e per persone e situazioni che ne sono investiti. Eppure la carenza di questa dimensione, non solo in ambito religioso ma anche laico, è un impoverimento per il mondo e un tradimento delle istanze di verità, autenticità, significatività. Per questo dovremmo chiederci a chi pestare i piedi, uscendo dall’indifferenza e recuperando la capacità di indignarci, per poi farlo davvero tramite scelte non certo indolori. Ci riguarda tutte e tutti, nei diversi ambiti di vita: in famiglia, a scuola, sul lavoro, in politica e nella Chiesa. Procedere in modo da non pestare i piedi a nessuno garantisce di uscirne indenni, ma non lascia indenne la realtà, quando la mancata profezia non smaschera e non denuncia. La memoria grata di papa Francesco dovrebbe tener viva l’istanza posta con insistenza: l’ascolto del grido della terra e del grido dei poveri, che sono un tutt’uno. Lo si può fare attingendo all’energia dello Spirito, che anima profetesse e profeti religiosi e laici nelle differenti fedi e culture, ma va assecondato da ciascuno per essere profetici là dove siamo e viviamo. Solo pagando il prezzo della profezia, i piedi dell’umanità troveranno la direzione di un cammino libero e liberante.
don Dario Vivian