Ancora un anno…

14
Dic

Il fico sterile e il nuovo senso del tempo di Gesù: per lui “ancora un anno” dura per sempre

La parabola del fico sterile si trova raccontata nei versetti 6-9 del capitolo 13 del vangelo di Luca. È un capitolo in cui i fatti presentati non sono caratterizzati spesso da un luogo o uno spazio, ma da un tempo. Si apre infatti con le parole “In quello stesso tempo…” termini frequenti all’inizio di brani anche diversi che vogliono, quasi sempre, indicare il tempo propizio per l’annuncio del regno di Dio. Il fico, in Israele, oltre ad essere un importante alimento, aveva una ricca simbologia riconosciuta dal popolo. Soprattutto nell’Antico Testamento il fico, assieme alle vite, assumeva il significato della fertilità e di una vita nella gioia del regno messianico: simboli di abbondanza e sicurezza. Inoltre, nell’Antico ma anche nel Nuovo Testamento, il fico rappresentava il popolo d’Israele stesso che, rispondendo o meno all’amore di Dio, poteva produrre molto frutto o diventare sterile, spoglio e secco per l’infedeltà all’alleanza con Dio. Il rapporto sterilità/fecondità è molto presente negli scritti biblici anche se quasi esclusivamente nei testi prima di Cristo e, in modo particolare, ha le donne come protagoniste. Basta pensare alle prime matriarche del popolo: Sara, Rebecca, Rachele… che per molti anni hanno vissuto la condizione di non avere figli considerata una vera disgrazia. Donne che, prima di poter prendersi cura di uno o più figli, hanno dovuto prendersi cura di un tempo di attesa e apparente sterilità, sempre molto lungo, che solo la fiducia nelle promesse di Dio poteva, a volte, rendere meno insopportabile.

Nella bellissima parabola di Luca 13,6-9, oltre al significato che il fico senza frutti assumeva rispetto alla situazione di fede e attesa del messia del popolo d’Israele, è possibile per noi oggi – come per tutte le parabole raccontate da Gesù – approfondire letture diverse, identificandosi con i diversi personaggi ed elementi presenti nel testo. Sicuramente, a livello immediato, possiamo riconoscerci nella pianta di fico che, pur continuamente nutrita dalla terra della vigna, da anni non dava frutti, rappresentazione di una mancata accoglienza del nostro essere creature fatte ad immagine di Dio e quindi orientate ad essere feconde nel terreno dove si è chiamati a vivere.

Possiamo però identificarci anche con il padrone della vigna che aveva piantato l’albero, ma che non curava quel fico, passando solo anno dopo anno per cercare i frutti. Come non pensare ai nostri stili di annuncio e vita cristiana, dove ciò che spesso ci motiva è solo vedere se “ci sono risultati”, più o meno immediati, ma comunque riscontrabili e la preoccupazione più grande è che, nonostante non ci siano i frutti che noi ci aspetteremmo, si sfrutti il ‘nostro’ terreno per nutrirsi. Meglio tagliare l’albero, non aver cura del tempo d’attesa. È l’atteggiamento del padrone che giudica, che decide della sopravvivenza o della morte solo in base a quanto è possibile ricevere in cambio; l’idea del messia che aveva la maggioranza del popolo ebreo di quel tempo (e quella che spesso ancora abbiamo noi di Dio), un messia potente e giudice. In parte, è anche l’immagine che aveva ancora Giovanni Battista che al capitolo 3 dello stesso vangelo di Luca annunciava: “Anzi già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (3,9).

Oppure, possiamo contemplare e cercare di fare nostra la splendida figura del vignaiolo. Non l’ha piantato lui quel fico che si nutre del terreno della vigna dove lavora; non ha mai preteso di avere dei frutti secondo la logica della ‘retribuzione’ così lontana dal Dio annunciato da Gesù: tu mi dai dei frutti e io ti permetto di nutrirti dal terreno delle mie viti. Non agisce in questo modo, anzi quando il padrone gli dice di tagliarlo chiede tempo: “Ancora un anno…”.

In quell’anno si prenderà cura del fico e del tempo a disposizione: zapperà intorno alle sue radici perché possano respirare meglio, affinché l’attesa si nutra del respiro della terra mossa e non dura e secca; lo concimerà perché possa trovare ancor più nutrimento, perché possa crescere e abbia la possibilità di diventare fecondo. Perché abbia “vita e vita in abbondanza” (Gv 10,10).

Non si lascia scoraggiare dal passato, da quei tre anni in cui l’albero non ha dato frutti, forse quel fico ha bisogno di tempi altri, di cure particolari per poter fiorire, forse di un vignaiolo che non si curi solo delle sue vigne, ma anche di chi può dare frutti diversi o che non dà ancora frutti.

Il vignaiolo chiede al padrone di poter prendersi cura dei giorni che il fico potrà avere a disposizione. Se poi non darà frutti, sarà il padrone a tagliarlo: “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai” (v. 9). Lui non lo taglierà, “non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,3) per lui “ancora un anno…” dura per sempre.

Donatella Mottin

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