Come saremo?

06
Lug

Intervista a Lauro Paoletto a partire dal suo ultimo libro, analizzando il presente per intuire il futuro

Mai come in questo tempo di pandemia che dura da più di un anno, abbiamo sentito risuonare le parole della cura, che mettono a tema in primo luogo la salute fisica, ma anche quella relazionale, sociale, spirituale, declinando le azioni della cura nei diversi ambiti dell’esistenza.

Prendersi cura di sé, degli altri e delle altre, del mondo vicino e lontano è un imperativo forte: dal quale sorgono pensieri, azioni, discussioni, visioni del mondo da mettere a confronto per guardare “oltre la pandemia” senza dimenticarla, senza rimuoverla dall’esperienza di vita e dall’orizzonte di visione futura.

Abbiamo chiesto a Lauro Paoletto, direttore del settimanale diocesano La Voce dei Berici e socio dell’associazione Presenza Donna, di condividere pensieri e riflessioni a partire dal suo libro dal titolo Come saremo? Oltre la pandemia tra memoria e ricerca di senso, da poco pubblicato da Proget edizioni.

Questo “diario della pandemia” ha come filo conduttore la domanda “come saremo?”, che è una questione sulla cura del futuro a partire dal presente, con il bagaglio della memoria. Ti sei dato qualche risposta?

Non c’è una risposta unica valida per tutti. C’è la risposta personale, il cui esito dipende da come ciascuno ha fatto i conti con la memoria dell’evento della pandemia che, volenti o nolenti, ci ha segnato a livello personale e comunitario. Saremo migliori se lo vorremo e se dunque avremo deciso di rimettere al centro da un lato la consapevolezza di essere tutti e tutte sulla stessa barca e dall’altro la responsabilità di prenderci cura gli uni degli altri, vicini e lontani.

 

La ricerca di senso emerge come percorso personale che coinvolge l’essere una comunità politico-sociale. Quali responsabilità nel riconoscersi parte di uno stesso destino?

La constatazione che non bastiamo a noi stessi e che dunque abbiamo bisogno degli altri, dovrebbe portarci a maturare la responsabilità di riconoscere che l’uomo e la donna sono esseri intrinsecamente relazionali. Qui il condizionale è d’obbligo e per questo è un dato che non va dato per scontato. Uno degli effetti della pandemia rischia, infatti, di essere una sorta di “atrofizzazione delle relazioni”, uno scoprire che, alla fin fine, si sta meglio con poche, selezionate relazioni, protetti (dall’altro) all’interno del proprio nido. Per questo tra le urgenze dovrebbe esserci quello di “programmare” una “riabilitazione relazionale” per riattivare la comunità in tutte le sue componenti. Questa è un’azione che ha una chiara valenza politico – sociale e che coinvolge direttamente le nostre comunità cristiane. Nel fare questo deve esserci anche la consapevolezza che non si tratta di ritornare a vivere le relazioni di prima e come si vivevano prima, anzi. Va proprio fatto un salto di qualità. La nuova fase nella quale già ci troviamo è da questo punto di vista una opportunità da non sprecare.

 

Tutti sulla stessa barca, come fratelli e sorelle: un grande invito di papa Francesco che ha animato la navigazione nei lunghi mesi di incertezza. Consideri che possa trovare realizzazione di una maggiore uguaglianza/considerazione per/delle donne?

Questa stagione è caratterizzata anche da uno sguardo più attento nei confronti delle donne nella società e, in parte, anche nella Chiesa. Qualche passaggio anche culturale si sta facendo: per necessità, perché in parte obbligati, perché è cresciuta una consapevolezza diffusa. La pandemia da un lato ha evidenziato (se ce n’era bisogno), anche in Italia, il ruolo assolutamente insostituibile delle donne nel mondo della cura, dall’altro ha tragicamente confermato come di fronte a situazioni di crisi tra i primi soggetti a pagarne il prezzo più alto ci siano proprio le donne. Questo fa intuire l’enorme lavoro che ancora c’è da fare al riguardo. Quello che, mi pare, si confermi in questi mesi (anche di fronte alle incredibili e ripetute violenze che le cronache ci presentano) è che occorre intensificare ed esplicitare un lavoro culturale che permetta di superare il maschilismo pervasivo e strisciante che caratterizza la società italiana e anche la nostra Chiesa.

 

Scrivi che “dobbiamo imparare a essere più comunità e a camminare insieme. A noi italiani questo risulta difficile, anche come credenti”. Comunità cristiane che si sfaldano o che si rinnovano? Quale orizzonte?

L’invito accorato, insistente, perentorio di papa Francesco perché si celebri finalmente un sinodo della Chiesa italiana rappresenta un grande segnale di speranza per le nostre comunità che alla fine non potranno non rinnovarsi. Certo le resistenze sono molte (il ritardo sul Sinodo la dice lunga), ma il cambiamento d’epoca in cui siamo immersi e le enormi e inedite sfide che questo porta con sé non permettono alternative: dobbiamo avere il coraggio di rinnovarci che significa lasciare che lo Spirito soffi davvero dove e come vuole.

sr Federica Cacciavillani

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